INTERVISTA A FABIO ROSSI: il Caporedattore Mascherato è di nuovo fra noi…

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INTERVISTA SCRITTA DA FABIO ROSSI SU TRACCIA DI RGP

 

I lettori più navigati proveranno sicuramente un pizzico di nostalgia ricordando questo personaggio…
Uno pseudonimo che ci ha tenuto compagnia per molti anni sulle pagine di Zzap! e sotto il quale si nascondeva un grande appassionato di videogames! Un personaggio tanto appassionato da scrivere, qualche anno dopo, un’opera considerata quasi “storica” fra i videogiocatori e gli addetti ai lavori…

Robert Grechi
 

RGP: Ciao Fabio e benvenuto su Retrogaming Planet! Innanzitutto devo ringraziarti per i complimenti che mi facesti tempo fa in merito al blog! E’ proprio grazie al tuo contatto, infatti, che è stato possibile realizzare questa intervista…per anni ho cercato un tuo riferimento invano!

FABIO: Ciao a te e ai lettori, e grazie per l’ospitalità!

Fabio Rossi in posa plastica...

Fabio Rossi in posa plastica…

RGP: Cominciamo subito: quando hai mosso i tuoi primi passi con i videogiochi e l’informatica in generale?

FABIO: Partiamo bene…comincio già a sentirmi antico! Il primo videogioco con cui ho avuto a che fare, è stato un coin-op di Breakout all’età di sei/sette anni. Tanto per capirci: stiamo parlando di un’era così lontana che per giocarci si usavano le monete da 20 Lire. Nel XXI secolo è impossibile capire che emozione fosse poter controllare “quello che succede nella televisione”: il video veniva vissuto come un totem molto più potente che oggi, e che le mie dita di bambino potessero decidere cosa accadesse sullo schermo era una sensazione indescrivibile. Cosa che, per inciso, non valeva solo per me: ancora anni dopo, quando arrivò Space Invaders, la gente passava intere serate a guardar giocare gli altri, persa in questa fascinazione da video.
Quella fu l’illuminazione dalla quale partì tutto e che non si spense più. Continuai a sentire quell’emozione giocando con la mia prima pseudoconsole tipo Pong, e soprattutto con il VCS su cui mi sono consumato gli occhi. Erano gli anni di Videogiochi (nel senso di rivista del gruppo Jackson), dei tornei e della “videogara” – una competizione cui i lettori partecipavano mandando i propri punteggi…in fotografia, che all’epoca voleva dire scattare su pellicola pregando che la banda nera di scansione del tubo catodico non andasse a cadere proprio sul segnapunti.
Dopo una settimana andavi a ritirare le fotografie sviluppate, le affidavi alle Poste, e se avevi molta fortuna un paio di mesi dopo ti ritrovavi campione italiano di un qualche gioco alienantissimo al quale eri stato attaccato magari 20 ore di fila. Per qualche tempo detenni parecchi record (fra cui quello mondiale di Barnstorming, una roba da squinternati che si giocava sui centesimi di secondo).

Nel frattempo stavano arrivando i primi home computer. Quando non trituravo alieni, passavo il tempo a studiare i listati in Basic pubblicati dalle riviste, e quando finalmente ebbi a disposizione un Vic-20 della Commodore mi ritrovai a saperci già fare discreti lavoretti. Caso volle che il mio vicino del piano di sopra fosse un famoso importatore di high-tech, e suo figlio avesse bisogno di qualcuno che gli spiegasse come usare il suo C-64 Executive (un “portatile” da 12 chili… roba da matti!) nuovo fiammante. Lì nacque una bella amicizia ed una vera collaborazione nella quale suo padre portava a casa prototipi di meraviglie, che si doveva decidere se importare o meno, e noi pischelli valutavamo se fossero effettivamente validi o meno.
Se in Italia arrivarono certi titoli per Intellivision, Colecovision e Master System la colpa fu un pò anche nostra.
Il passaggio successivo fu scrivere semplici adventure game su Commodore 64, poi lavorare con Stefano Giorgi a un giocone meraviglioso (che non vide mai la luce… provate a googlare ‘Shogoth’…), portarlo alla redazione di Zzap! per farlo valutare e da lì precipitare nel delirio del giornalismo di settore.

 

Uno stralcio delle recensione di Shogoth su Zzap!...

Uno stralcio delle recensione di Shogoth su Zzap!…

...e la caricatura del buon Stefano Giorgi, co-autore di Shogoth

…e la caricatura del buon Stefano Giorgi, co-autore di Shogoth

RGP: La prima macchina che hai avuto a disposizione?

FABIO: Come console uno di quei cloni di Pong fatti a Taiwan. Come computer un Commodore Vic-20, ma il vero amore fu col Commodore 64.

RGP: Immaginavo! Utilizzavi comunque le tue macchine principalmente per giocare o per studio e/o lavoro?

FABIO: C’è mai stato qualcuno che abbia davvero studiato con un home computer? Credo che nel mio caso la proporzione fosse 60% di gioco e 40% di programmazione/scrittura. Eh già: per anni le recensioni e gli articoli li ho scritti su quella tastiera…

RGP: Da ragazzo trascorrevi molto tempo in sala giochi o preferivi rintanarti in casa, nel buio della tua stanza (come solitamente veniva descritto il classico Nerd all’epoca), a passare le nottate davanti al tuo computer?

FABIO: Che domande! Prima si andava al bar a far durare il più possibile ogni monetina, poi si tornava a casa a giocare col computer e le console!

RGP: Immagino tu sia stato un assiduo lettore di riviste videoludiche fin da ragazzo…Qual è stata la prima rivista di videogiochi acquistata?

FABIO: Electronic Games, edizione USA. Arrivava solo in un paio di edicole di Milano e costava un rene. Fortuna che poi arrivò Videogiochi!

RGP: Il tuo “sogno nel cassetto” era proprio diventare redattore di videogiochi o tutto è avvenuto per caso?

FABIO: Il mio sogno era diventare Flynn, l’inventore di videogame strafighi del film Tron. O per lo meno Alex di Giochi Stellari. Solo che l’unico alieno che ho incontrato è stato BDB (BONAVENTURA DI BELLO, direttore di Zzap!), e visto che scrivere mi è sempre piaciuto, mi sono lanciato in un’avventura un pò diversa. E molto più divertente, col senno di poi.

RGP: La prima rivista per la quale hai lavorato?

FABIO: A voler fare i precisini fu una pubblicazione per fissati che si chiamava Videoteca Computer, ma la prima collaborazione fissa fu con Zzap!.

RGP: Come è avvenuto il tuo ingresso in redazione e di cosa ti occupavi in particolare?

FABIO: Si trattò di un doppio ingresso, in effetti. Il primo contatto fu quando portammo il nostro mega-adventure testuale Shogoth, nella speranza che ce lo recensissero e ci dessero un aiuto per venderlo a qualche software house. In quell’occasione conobbi Bonaventura, con cui mi trovai subito in sintonia.
Un paio di mesi dopo lo Studio Vit abbandonò Zzap! per fondare K, Bonaventura si trovò a realizzare Zzap! interamente da solo, e quando lessi la notizia provai, senza crederci molto, a propormi come redattore. La risposta fu: “Un redattore non ci serve. Un caporedattore invece sì: ti aspetto domani”.

Il trucco stava nel fatto che la redazione non c’era proprio: BDB faceva tutto da solo ed era per definizione il direttore, quindi come secondo arrivato mi toccò quel titolo altisonante. Ne consegue che facevamo entrambi tutto, dalle traduzioni ai test, dalle foto delle schermate ai contatti con i distributori, dalla scelta dei contenuti alle liti regolari con la redazione inglese e gli editori. La differenza fondamentale è che Bonaventura faceva meno traduzioni di me, ma in compenso si smazzava tutta la parte dell’impaginazione.

La caricatura di Bonaventura Di Bello, utilizzata nei commenti di Zzap!

La caricatura di Bonaventura Di Bello, utilizzata nei commenti di Zzap!

RGP: Una giornata-tipo redazionale?

FABIO: Ai tempi di Zzap!, dici? Giocare, giocare, giocare, scrivere, scrivere, scrivere, fotografare. E ripetere. Ad infinitum, fino a quando eravamo proprio esausti e ci rilassavamo giocando. Poi si tornava a casa, cena veloce e…beh, che volevi fare se non giocare un altro pò? A seconda dei punti di vista si trattava di un paradiso o di un’esperienza da veri psicopatici!
Quel che è difficile raffigurarsi oggi è che Internet non c’era, quindi ottenere informazioni e anteprime richiedeva un lavoro certosino di ricerca continua. Essere i primi a uscire con una recensione rispetto alle altre testate era ogni volta una soddisfazione immensa, anche se a conti fatti non portava alcun vantaggio pratico.
Negli anni successivi l’ambiente si è gradatamente normalizzato, ma quel genere di spirito è rimasto vivo molto a lungo.

RGP: Sappiamo che, negli anni, hai lavorato per molte testate videoludiche…senza che ti faccia io le domande, puoi raccontarci qualcosa delle tue numerose esperienze redazionali ed indicarci cosa ricordi con maggiore e minore piacere di tutto ciò che ha fatto?

FABIO: Ripensare a quelle esperienze dopo tanti anni le fa vedere sotto una luce differente, questo è certo. Senza nemmeno considerare tutte le collaborazioni minori, ogni rivista è comunque legata a bei ricordi. Zzap! fu un’esperienza punk, in cui un misto di incoscienza ed energia giovanile ci permise di divertirci un sacco inventando un modo di fare riviste che viene imitato ancora oggi; fondare The Games Machine (piantiamola con i falsi storici: i primi numeri li abbiamo fatti noi del team originale di Zzap!, non altri!) ha aggiunto l’entusiasmo di creare qualcosa da zero.
K invece per me fu un incubo kafkiano: nell’anno che passai lì gli altri redattori mi avranno rivolto quaranta parole in tutto, guardandomi come fossi un lichene. Passavo otto ore al giorno a tradurre e scrivere alla velocità della luce mentre il resto dello studio si preoccupava di inventare il Fantacalcio, e venni perfino licenziato “perché non avevo spirito di gruppo”! Diciamo diplomaticamente che lo Studio Vit fu una gran delusione…ma in compenso quell’esperienza mi insegnò a lavorare come uno schiacciasassi, cosa sempre utilissima. Con Computer + VideoGiochi raggiunsi la maturità professionale ed ebbi la soddisfazione di creare un Dream Team con il quale sbaragliammo la concorrenza – finché brutte beghe interne della casa editrice non distrussero tutto da un giorno all’altro. Infine Next Station (e in misura minore Next Action) mi diedero l’occasione di reinventare un modo nuovo di fare giornalismo videoludico: esperimento bellissimo nonostante i budget risicatissimi e le giornate di lavoro da 19 ore. Peccato che anche quello sia finito nella maniera più triste, con l’editore che semplicemente mi disse: “Sai quei tot-mila euro che vi devo pagare? Beh, l’amministratore ha fatto male i conti e non ce li ho. Chiudiamo”.

I ricordi negativi sono tutti di questo tipo, legati a come il “mondo reale” entrava a gamba tesa a rovinare l’idillio che in un modo o nell’altro c’era nelle redazioni e con i lettori. La parte peggiore era il cinismo con cui gli editori si approfittavano del nostro entusiasmo di ragazzi appassionati del nostro lavoro, negandoci contratti seri, spremendoci come limoni e pagando meno di un decimo dei prezzi di mercato nonostante le testate incassassero molto, molto bene.
Col tempo inoltre le riviste hanno dipeso sempre più da produttori e distributori di software, trasformandosi in poco più che raccolte di comunicati stampa. Tutto sommato, credo di essere uscito da quel giro appena in tempo per non rovinare tanti bei ricordi.
Si è trattato della tipica parabola da musicista, né più né meno. Come tanti altri sono stato prima fan, poi frontman di una garage band, rockstar e adesso trivia per nostalgici – c’è di buono che in compenso non sono morto male e ho evitato tutto il declino sui palchi delle sagre di paese. Oddio, magari una reunion una volta o l’altra però…

RGP: In quegli anni hai anche organizzato una interessantissima riunione con i maggiori sviluppatori italiani del periodo (intervista che, qualche tempo fa, è stata anche ripescata dal buon Andrea Pachetti sul suo blog QUATTRO BIT). Cosa ti ha spinto a riunire tutti quei ragazzi e quale obiettivo, che ti eri prefissato, credi di aver raggiunto?

FABIO: Quell’esperimento nacque da un particolare momento storico in cui l’Italia stava finalmente cominciando ad alzare la testa sul mercato dei videogiochi, ma era ancora considerata poco più di una nota a piè di pagina o una barzelletta. La mia idea era di dare un pò più visibilità a tutte quelle persone in gambissima, che non avevano niente da invidiare a tanti sviluppatori stranieri ma erano rimaste penalizzate dalla lotteria geografica. Inoltre speravo di ispirare qualche lettore a “passare dall’altra parte dello schermo”, anche se a quel punto eravamo già in un periodo in cui i micro-team di una o due persone cominciavano a non poter più essere competitivi.
Se ancora te ne ricordi, evidentemente non andò comunque troppo male.

Fabio Rossi (a destra) durante la "storica" riunione con i programmatori italiani...

Fabio Rossi (a destra) durante la “storica” riunione con i programmatori italiani…

RGP: Un’altra curiosità che ti chiedo di svelare a tutti i miei lettori: ai tempi di Zzap! ti nascondevi sotto lo pseudonimo del “Caporedattore mascherato” con tanto di immagine a corredo…Cosa puoi dirci in merito?

FABIO: Come redattori non sentivamo ancora le pressioni degli inserzionisti pubblicitari, però era intuitivo che non fosse il caso di andar giù troppo pesante nei confronti di quei prodotti importanti che facevano purtroppo pietà. Il Caporedattore Mascherato era la classica maschera da giullare, con cui potevo scatenarmi contro quei giochi che facevano proprio schifo fingendo un assurdo anonimato. La beffa era doppia perché il CM era pure una specie di Judge Dredd ferocissimo contro la pirateria mentre era evidente a tutti che sia i lettori che i redattori fossero i primi a dipendere dal mercato pirata.

RGP: Qualche avvenimento o aneddoto che ricordi in modo particolare di quegli anni?

FABIO: Ce ne sarebbero tantissimi, tutti bene o male legati al fatto che in redazione vivessimo come i personaggi di un telefilm tutto nostro, con personalità esagerate, gag ricorrenti, modi di dire, fanatismi vari. Ti potrei raccontare per l’ennesima volta la storia del pesce d’aprile di Zak McKraken 2 (a questo INDIRIZZO potrete vedere l’articolo originale, grazie alle scansioni del portale PROGETTO ZZAP!), venuta così bene che un portavoce della Lucasfilm Games stessa ci contattò per indagare su come avessimo fatto a trafugare “quelle informazioni top secret” – ma è stata ripetuta troppe volte. Preferisco citare invece le (tante!) volte in cui noi redattori venivamo riconosciuti per strada e trattati come se fossimo stati attori famosi o rockstar: quanti altri giornalisti possono dire lo stesso?
Un’esperienza fantastica e assurda fu anche partecipare a un torneo internazionale di videogiochi come capitano della squadra italiana. In realtà eravamo degli scappati di casa, ma ci ritrovammo al centro di una manifestazione enorme: per tanti anni ho conservato una foto scattata dal palco della premiazione, in cui si vedeva un intero padiglione fieristico pieno di ragazzi esaltati che ci inneggiavano (beh, più la squadra inglese, in effetti…) come se si fossero trovati a un concerto. E che dire di quando ricevetti la lettera di un lettore che raccontava di avere rinunciato a suicidarsi perché aveva trovato nelle nostre riviste l’energia per non cedere alla depressione?

 

Il numero 33 di Aprile 1989, contenente lo storico "pesce" di Zak McKracken 2...

Il numero 33 di Aprile 1989, contenente lo storico “pesce” di Zak McKracken 2…

RGP: Beh, sono soddisfazioni! Dopo qualche tempo sei “migrato” alla casa Editrice Jackson…cosa ti ha spinto ad effettuare una simile scelta dopo tanti anni?

FABIO: In realtà è tutta una storia di vendette a catena… senza entrare nel dettaglio, dico solo che ebbi alcuni assurdi “screzi” con gli editori che mi portarono a licenziarmi in tronco – anche perché certi nuovi arrivi in redazione avevano già reso l’atmosfera molto pesante.

Uscito da lì me ne andai alla concorrenza, cioè K, con il preciso intento di affondare del tutto Zzap! e The Games Machine. La missione riuscì abbastanza bene anche per via della naturale evoluzione del mercato, ma come dicevo prima mi ritrovai in un ambiente di lavoro tremendo. Quando, con gran sollievo di tutti, lo Studio Vit mi lasciò a piedi non feci altro che ripetere il copione: andai alla concorrenza deciso a creare una nuova rivista che facesse mangiare la polvere tanto a K quanto alle testate Xenia!
Ero un pischello cresciuto a disegni animati di robottoni giapponesi, che ci vuoi fare…
All’epoca il Gruppo Jackson pubblicava una rivista chiamata Guida Videogiochi, che veniva scritta da personcine tanto brave ma tanto sprovvedute. Io ebbi l’hybris di propormi per fare qualcosa di completamente nuovo, e quando mi chiesero un esempio tirai fuori un numero di Computer & VideoGames, la rivista inglese di maggior successo in assoluto. E pensa un pò? Me la fecero fare davvero!

RGP: Dalle mie fonti segrete sono venuto a conoscenza di un progetto giovanile creato ai tempi di Zzap!, con il tuo collega Stefano Giorgi, sotto il marchio Spinnaker Software (mi sembra). Di cosa si trattava?

FABIO: Ne accennavo prima: era un’avventura testuale sul genere di quelle della Infocom solo che era moooolto più grande, e soprattutto in grado di interpretare correttamente comandi complessi in italiano. Stefano aveva inventato un parser meraviglioso su cui avevamo costruito un gioco immenso. Pensa che i testi occupavano fino all’ultimo byte un’intera facciata di floppy disk, che all’epoca era una quantità di informazioni mostruosa. Il codice era così tanto che non lo si poteva decompilare, perché nel momento in cui le istruzioni abbreviate venivano espanse automaticamente nella forma piena, i dati superavano la RAM a disposizione!
Quel gioco si intitolava SHOGOTH, e purtroppo la Spinnaker Software non c’entra nulla. In effetti non venne mai pubblicato – un pò per via della fine del mercato delle avventure testuali, un pò per una serie di sfighe bibliche che non ti sto a raccontare perché non ci crederesti.

RGP: Nonostante i trascorsi redazionali, il tuo nome è legato al famosissimo DIZIONARIO DEI VIDEOGIOCHI (che ovviamente posseggo) che, in quegli anni, ebbe un grandissimo successo! Ci spieghi come è nata l’idea di realizzare un progetto cosi grande ed ambizioso e quali difficoltà hai incontrato nel realizzarlo?

FABIO: Per riassumere una storia molto complicata, in quegli anni scrivevo molto anche di fumetti. In quel giro conobbi Franco Fossati, il leggendario caposervizio Disney, critico, cofondatore di Focus, e creatore di mille altre cose splendide fra cui parecchi minidizionari per la Vallardi. Fu lui a suggerirmi di scrivere un dizionario dei videogiochi, perché all’epoca non esisteva alcun reference affidabile sull’argomento.
Realizzarlo fu una bella impresa, anche perché Internet non c’era, quindi ogni informazione venne raccolta sfogliando riviste, consultando libri e intervistando gente. La quantità spropositata di voci dipende dalla convinzione che non ci sarebbe mai stata una seconda occasione di scrivere un libro simile, e che quindi valesse la pena di metterci dentro proprio tutto. Chi avrebbe immaginato che vent’anni dopo sarebbe arrivata una roba chiamata Wikipedia?

 

Il Dizionario Dei Videogiochi in tutto il suo splendore

Il Dizionario Dei Videogiochi in tutto il suo splendore


 

RGP: Che effetto ti fa rileggere ai giorni nostri il tuo Dizionario (dove si parla anche delle “imminenti” console giapponesi in arrivo quali Mega Drive e SNES)?

FABIO:A dire la verità sono tantissimi anni che non lo riguardo, ma fa tenerezza! Ora che ci penso fa anche arrabbiare per via di tutte le imprecisioni che contiene, dovute a fonti men che perfette. E poi mi fa pensare che senza quel primo dizionario non ci sarebbero stati tanti lavori successivi, compresi i 22 libri che ho scritto da allora…

Cliccare QUI per sfogliare il Dizionario online

(Per l’utilizzo delle scansioni, si ringrazia il portale www.dizionariodeivideogiochi.it di Andrea Pastore)

RGP: Nel corso della tua carriera avrai incontrato molti autori famosi: ci racconti qualche episodio memorabile?

FABIO: Naturalmente quando la passione si trasforma in lavoro è inevitabile considerare normali certi eventi che, da fan, si sarebbero vissuti come sconvolgenti. Quindi sì, ho incontrato, intervistato e cazzeggiato con parecchi nomi celebri ma alla fine quelli che rimangono più in mente sono gli episodi strani, in cui qualcosa è andato storto.
Per fare un esempio: da grandissimo appassionato della serie Ultima quale ero, una volta a Las Vegas arrivai carichissimo a un incontro di presentazione del nuovo episodio (il V, forse), tutto esaltato perché ero riuscito a prenotare anche una breve intervista con il leggendario Richard Garriott. Ebbene: Richard arriva, mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite, tira fuori di tasca delle monete promozionali e parte a farmi un sermone di mezz’ora sulla simbologia delle virtù teologali rappresentate sulle monete! «Perché nella nostra epoca c’è troppo squilibrio fra valori e desideri…», ignorando ogni tentativo di fermarlo un attimo per parlare di qualcosa di sensato.
Mi sono sentito come in un film di Tarantino, allo stesso tempo perplesso e convinto che da un momento all’altro avrebbe tirato fuori uno spadone per farmi a pezzi nel suo delirio di identificazione col Lord British del gioco!

L’aneddoto più imbarazzante comunque risale a un altro viaggio a Las Vegas, dove per alcuni anni è stato obbligatorio andare in pellegrinaggio per il CES, la fiera più importante del settore. Stiamo parlando di un viaggione piuttosto stancante, specie se (come in quel caso) c’era qualche problema di coincidenze, traffico aereo, consegna dei bagagli e così via. Insomma: quella volta ero arrivato davvero distrutto. L’editore mi aveva prenotato un posto in un nuovo mega-hotel appena costruito, di quelli dove impieghi mezz’ora solo per raggiungere la camera, e il mio unico pensiero era buttarmi sul letto per farmi qualche ora di sonno decente prima di cominciare la maratona massacrante dei giorni di fiera.
Insomma, dopo tutta la trafila del check-in finalmente arrivo all’ascensore, entro, premo il pulsante del mio piano e le porte vengono bloccate dall’Uomo Sfiga, un tipetto mesto con la barba appena arrivato anche lui, a giudicare dalle valigie:

  • «Mi scusi se l’ho fermata» mi fa con un accento incomprensibile
  • «Si figuri»
  • «Ah, andiamo allo stesso piano!»
  • «Ma pensa» commento io che a quel punto voglio solo un materasso o, per lo meno, essere lasciato in pace.
  • Lui invece non molla. «È qua anche lei per la fiera dei videogiochi?» chiede notando gli adesivi a tema sul mio trolley.
  • «Hm-hm…»
  • «È un programmatore anche lei?»
  • «No, giornalista»
  • «Sa, per me è la prima volta. Mi hanno fatto venire fin qui per presentare un mio vecchio giochino…»
  • «Ah, davvero» ribatto pensando che l’ascensore va decisamente troppo piano. Mi ci mancava solo lo sviluppatore disperato!
  • «Beh, visto che siamo vicini di camera magari possiamo fare un’intervista, che ne dice?»
  • Giuro, di solito sono una persona molto più educata. Ma in quell’occasione proprio non ce la facevo più. «Magari un’altra volta, eh? Sono davvero stanco morto… Semmai ci si vede in giro per la fiera e ci mettiamo d’accordo» gli rispondo senza crederci nemmeno un pò.
  • Lui ovviamente ci rimane un pò male, ma incassa con quell’aria da profugo che trasuda una miseria ontologica. «Sì sì… Beh, buona notte allora. Nel caso, la mia camera è la numero tot!»
  • «Grazie, non mancherò. Buona notte anche a lei!»

Il mio ricordo successivo è ritrovarmi in mezzo alla folla oceanica del Consumer Electronics Show, con un’agenda fittissima di appuntamenti e un miliardo di cose da vedere. Quello ancora successivo sedermi in aereo e sfilarmi finalmente le scarpe, con i piedi devastati da giorni di corse continue. Il tizio sfigato non l’ho mai più rivisto.
Di persona, dico.
In foto invece sì, e pure parecchie volte. L’accento era russo. Il suo giochino l’aveva inventato in effetti anni prima, e quella era la sua prima visita in occidente.
Signori, consegnatemi pure il trofeo di Imbecille Galattico Indoor: quella sera sono riuscito a sfanculare nientemeno che ALEXEY PAJITNOV, e a perdere l’occasione di realizzare la prima intervista in assoluto su Tetris.

RGP: Bellissimo, su questo aneddoto dovrebbero farci un film, eheheh! Tornando a noi…Una volta abbandonato il mercato editoriale, di cosa ti è occupato? E la tua occupazione attuale?

FABIO: Veramente non ho lasciato il mondo dell’editoria, ma semplicemente quello dei videogiochi. Continuo ad essere un consulente editoriale, a scrivere libri e siti, tradurre, fare il ghostwriter e occuparmi in generale di cose divertenti.

Fabio Rossi  durante una stressante sessione lavorativa...

Fabio Rossi durante una stressante sessione lavorativa…

RGP: Cosa pensi dei numerosi musei, siti e blog dedicati al retrogaming che, in questi anni, stanno nascendo numerosissimi in tutta Italia?

FABIO: I musei francamente non li capisco, visto che quasi tutti i giochi sono fruibili anche a casa propria tramite emulazione e di “reperti rari” che giustifichino un’esposizione non me ne vengono in mente molti. Siti come il tuo invece mi piacciono moltissimo, perché preservano un pezzo di storia che si sarebbe altrimenti perduto e che ritengo invece molto importante per comprendere lo stato attuale dell’interazione uomo-software.

RGP: Grazie per i complimenti! Anche tu sei un collezionista di hardware e/o software?

FABIO: Di hardware non più. Per un certo periodo ho tenuto stretta la mia collezione di riviste di settore, che misurava 3 metri cubi giusti giusti, ma mi sono rassegnato a buttarla durante un trasloco. Avevo anche provato a regalarla a qualcuno che volesse digitalizzarla o preservarla, ma la retromania non era ancora scoppiata; non l’ha voluta nessuno, ma vedo che ormai online c’è gran parte di quel materiale.
Per quanto riguarda gli emulatori invece credo di avere una collezione moooolto completa, anche se poi gioco molto raramente, di solito col MAME. Da vero vecchio, di questi tempi gioco soprattutto con roba casual tipo i room escape o gli idle game, e tengo d’occhio la scena Indie in cui ogni tanto ritrovo lo spirito dei pionieri degli 8-bit. Le grandi produzioni le guardo soprattutto per cose da geek come la regia o la sceneggiatura – e di solito mi deludono molto.
Poi, se vuoi proprio farmi fare la figura del pazzo, devo segnalarti il giochino scemo con cui mi rilasso da quasi vent’anni: si chiama Sherlock, ed è disponibile all’indirizzo http://www.kaser.com/sherwin.html. Secondo me, giocato al massimo livello di difficoltà, ha un fattore “ancora una partita e basta” che gli fa battere perfino il gioco più giocato di tutti i tempi: il Solitario di Windows.
Ma si sa: ad una certa età si comincia a sragionare…

NOTA: Una cosa che invece non ho mai avuto la pazienza di riordinare sono gli emulatori di flipper. Quindi se qualche buon samaritano volesse passarmi una collezione riordinata come si deve, senza doppioni, versioni instabili e pastrocchi vari, gliene sarei infinitamente grato…

 

RGP: Un’ultima domanda: ti rivedremo alle prese con i videogiochi (magari rileggendoti sul Web) o hai definitivamente appeso la penna al chiodo?

FABIO: Il problema è banalmente la mancanza di tempo, per non parlare del fatto che il genere di cose che scriverei interesserebbero solo a uno strano tipo di lettore composto in parti uguali da Chris Crawford, Jeff Minter e Zygmunt Bauman.
Se però là fuori c’è qualche pazzo disposto a finanziare una reunion di vecchie firme, mi divertirei un sacco a collaborare ad un one shot con il quale dire una volta per tutte a ‘sti ragazzini debosciati quali sono davvero i titoli con cui dovrebbero giocare.

SPOILER: Nessuno nel cui titolo compaia un numero superiore a 2.

 

RGP: Non mi resta che ringraziarti per la disponibilità dimostrata e per aver condiviso con tutti noi le tue esperienze lavorative.

FABIO: Stai scherzando? Grazie a voi per essermi venuti a cercare!
Vi aspetto di nuovo qui tra un’altra ventina d’anni, ok?

©Copyright 2009 – 2023 by Retrogaming Planet – Robert Grechi
 

Autore: Robert Grechi

Nato nel 1977 ho vissuto in prima persona la nascita dei videogames fin dal lontano 1982, anno in cui entro in possesso di uno splendido Colecovision e con il quale comincio la mia “carriera” videoludica! Da allora è stato un susseguirsi di Home Computer e Console che hanno ampliato ulteriormente l’interesse per i videogiochi al punto da aprire, nel mese di Luglio 2009, il blog Retrogaming Planet interamente dedicato al mondo videoludico anni ’80 – ‘ 90!

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