INTERVISTA A BONAVENTURA DI BELLO storico divulgatore e sviluppatore di videogames!

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INTERVISTA SCRITTA DA BONAVENTURA DI BELLO SU TRACCIA DI RGP
 

Proseguendo con le interviste ai personaggi che hanno fatto la storia nel mondo dei videogames, oggi e’ il turno di Bonaventura Di Bello, mitico programmatore, redattore di videogiochi, blogger e tante, anzi tantissime altre cose, che mi ha rilasciato questa splendida intervista in una nebbiosa Domenica milanese!
BUONA LETTURA!
 

RGP: Ciao Bonaventura! Innanzitutto grazie per il tempo chi mi stai concedendo preso, come sei, dai tuoi mille impegni! Se non ti dispiace vorrei chiamarti BdB dato che tutti ti conosciamo con questo pseudonimo…

BDB: Ciao Robert (o preferisci RGP?:-) ). Va bene BDB purché maiuscolo essendo un acronimo breve, e sugli acronimi sono intransigente 🙂
Non ringraziarmi, personalmente ho un concetto del tempo abbastanza particolare, e di sicuro rispondere alle tue domande significa soddisfare la curiosità di chi poi leggerà l’intervista e magari le avrebbe poste lui stesso.

RGP: Dato che siamo fra acronimi…meglio RGP :)! Per cominciare tutti noi videogiocatori appassionati di retrogaming abbiamo visto il tuo nome per la prima volta sulle pagine di una nota rivista pubblicata dalla Xenia Edizioni nei lontani anni ’80. Vuoi spiegare com’e’ cominciata la tua avventura nel mondo videoludico prima e in quello editoriale poi?

BDB: Prima di Xenia si dovrebbe parlare di Edizioni Hobby, in effetti, visto che era il nome originale della casa editrice quando già pubblicava i giochi d’avventura di Viking/Explorer da me realizzati per Spectrum, C64 ed MSX. A dire il vero la mia avventura (scusa il gioco di parole) editoriale è cominciata proprio con questi giochi, anche perché oltre a programmarli curavo la parte cartacea che accompagnava le rispettive cassette, scrivendone l’editoriale, l’intro di ogni storia/gioco e anche vari articoli a corredo e recensioni di adventure straniere.
Durante tale periodo cominciai a scrivere articoli per una rivista di un altro editore (ByByte Edizioni) che si chiamava Modem & Telecomunicazioni, erano articoli sulle banche dati nel mondo e il loro utilizzo nelle varie professioni, come la medicina o il giornalismo stesso. Allora non esisteva ancora Internet, e a dire il vero le BBS sarebbero arrivate persino dopo quel periodo, quindi per realizzare tali articoli accedevo, tramite una connessione costosa e un ‘abbonamento’ altrettanto costoso (a una compagnia chiamata SEAT/Sarin) a sistemi on-line poco conosciuti dal grande pubblico.
Fu con il calo di interesse nei giochi d’avventura da parte del pubblico che l’editore mi propose di curare Zzap!, allora gestita dallo Studio Vit in outsourcing, per portarne la lavorazione all’interno della casa editrice visto che tale service aveva intenzione di mollarla. Quella proposta mi sembrò molto interessante, per tutta una serie di motivi oltre a quello di rimanere e continuare a lavorare a Milano dove mi ero trasferito per il lavoro degli adventure games.

RGP: Se ben ricordo la sede della rivista era qui a Milano ma non credo fosse un vero e proprio ufficio…

BDB: Era un ufficio (anzi, una serie di uffici) ma non ancora una redazione, sebbene collocato in uno stabile anonimo e in una zona tutt’altro che centrale. Inizialmente mi occupai in toto della rivista, dopo un mesetto di ‘esercitazione’ con il DTP (usando l’hardware e il software che poi avrebbe costituito la parte produttiva della redazione dal primo momento) a ricostruire gli impaginati della rivista inglese (le cosiddette ‘gabbie’), leggendomi nel frattempo i numeri precedenti per cogliere lo stile delle recensioni, sia dell’originale inglese sia delle traduzioni italiane.
Per alcuni mesi mi occupai interamente di tradurre, scrivere, impaginare selezionando i contenuti e cominciando a curare i contatti con le software house con l’aiuto dei colleghi britannici, poi cominciai a ‘costruire’ il team redazionale.

RGP: Come venivano reclutati i redattori? La maggior parte di loro mi sembra fossero poco più che ragazzi all’epoca o c’era qualche giornalista professionista in mezzo al gruppo?

BDB: Nessun giornalista ‘professionista’ (ammesso che questo aggettivo si possa applicare a chiunque abbia un tesserino, naturalmente, e sai cosa voglio dire).
Come per me, che semplicemente avevo alle spalle un ottimo background culturale e tecnico e un’abilità nella comunicazione verbale/scritta, così per i ragazzi che nel corso dei mesi reclutai io stesso, quasi tutti giovanissimi, ma accomunati dalla passione per i videogame e dall’aver già letto le riviste pubblicate negli anni precedenti oltre che giocato su console di prima generazione e home computer.
Diciamocelo senza peli sulla lingua, secondo te se ci fosse stato qualche ‘giornalista’ in mezzo al team avrebbe scritto in maniera altrettanto competente, appassionata e avvincente di videogiochi? Parliamo di un fenomeno ancora agli esordi, che quasi sicuramente non coinvolgeva per nulla i ‘professionisti della comunicazione’ allora impegnati in tutt’altro tipo di argomenti.

RGP: In quegli anni i videogames erano considerati passatempo per gli “sfigati” o comunque attività preferita da quelle persone che avevano una limitata vita sociale e che passavano i pomeriggi chiusi nelle proprie stanze ad utilizzare il computer (solitamente un C64)! Era davvero cosi nella realtà?

BDB: Assolutamente no, la maggior parte delle persone che ho conosciuto e con cui ho lavorato, che condividevano la passione per i videogiochi, erano tutt’altro che ‘nerd’, sebbene qualche collaboratore esterno (e alcuni lettori che ci contattavano) mostrasse qualche chiaro segno di isolamento sociale e chiusura verso l’esterno, per usare un eufemismo, che ovviamente nulla aveva a che fare con la sua abilità comunicativa sulla carta o su quella nel giocare e valutare prodotti videoludici.
E poi sarebbe ora di sfatare questo mito dell’eremita digitale, ancora oggi si tende a dare questa connotazione antisociale a chi utilizza intensivamente la Rete e i Social Network, senza riflettere su come ciò permetta di tenere ancora più vivi i contatti con parenti e amici che poi inevitabilmente si concretizzano in incontri, viaggi, uscite in compagnia e altro. Sono questi i danni collaterali provocati dagli articoli e dai servizi televisivi dei cosiddetti ‘giornalisti professionisti’.

RGP: Tornando al tuo passato da giornalista videoludico cosa pensi del fatto che la rivista che hai diretto ormai quasi vent’anni fa resiste ancora oggi, è la più venduta in Italia ma soprattutto che alcuni redattori storici ci lavorano ancora oggi?

BDB: Penso che, oltre alla tenacia di chi è rimasto a scrivere le sue pagine (io purtroppo ho dovuto lasciare Milano e la direzione delle riviste Xenia per motivi di famiglia, e certamente non è stata una scelta indolore) chi ne ha preso le redini e ne ha curato i contenuti dopo di me ha saputo svolgere bene il suo lavoro, e con altrettanta passione, perchè se da una parte il fenomeno dei videogiochi è andato sviluppandosi al punto da creare un mercato più ampio e solido e favorendo maggiormente l’editoria di settore, dall’altro ciò ha anche prodotto il fiorire di pubblicazioni concorrenti, e onore al merito a chi ha saputo ‘sopravvivere’ a questa battaglia senza esclusione di colpi.

RGP: Ci puoi raccontare qualche simpatico aneddoto di quegli anni e com’era l’ambiente lavorativo in generale?

BDB: L’ambiente era fantastico, molto diverso da quello delle redazioni e delle case editrici odierne. Ciò era dovuto all’editore, anzi agli editori, Roberto Ferri e Fedinando Monti, che ancora oggi rappresentano per me due ‘padri professionali’ cui devo moltissimo e che hanno lasciato nella mia vita un segno indelebile quanto i miei genitori naturali.
Attribuisco a loro questo merito della piacevole vita redazionale percè’ mi hanno dato sempre la massima fiducia e autonomia tanto nella scelta organizzativa quanto in quella redazionale, compreso il reclutamento dei redattori, praticamente l’unica cosa di cui non mi occupavo era la loro retribuzione visto che io stesso lavoravo da consulente interno freelance. A mia volta lasciavo ai redattori ampio spazio di espressione, e abbiamo vissuto quegli anni come una sorta di incredibile avventura ludico-formativa, traendone una crescita professionale direttamente proporzionale all’entusiasmo e al divertimento che derivava dallo scoprire ed esplorare i giochi che arrivavano in redazione sempre più numerosi.
Di aneddoti ce ne sono diversi, ma non vorrei ripetere quelli più noti, quindi approfitto per citarne due che credo siano ‘inediti’.
Il primo è l’errore di copertina che restò su uno dei numeri, vistosamente cubitale ma addirittura tanto subdolo da passare inosservato anche quando, ormai troppo tardi, cercai di farlo notare a colpo d’occhio ai redattori (credo che l’editore non ne abbia mai saputo nulla, in effetti). Si trattava del n.27 di Zzap!, sulla cui copertina si può leggere a caratteri cubitali ‘LA FREBBRE OLIMPIONICA‘. Ci giurerei che ancora oggi il madornale errore di battitura sfugge ai più.
L’altro aneddoto fu l’introduzione di un errore ‘voluto’ nel colophon, ovvero l’area detta anche ‘gerenza’ che ospita i nomi di chi contribuisce alla realizzazione della rivista. Allora collaborava con l’editore una segretaria che era anche grafica, e non passava assolutamente inosservata per il suo corpo scultoreo, il che ci spinse a cambiare la parola grafica in uno dei numeri (non ricordo quale, quindi che si apra la ‘caccia al tesoro’) aggiungendo una ‘n’ dopo le prime tre lettere. Ecco, credo che questo dia un’idea dell’atmosfera che si respirava allora in redazione.

RGP: Tu di cosa ti occupavi esattamente?

BDB: Come dicevo prima nei primi mesi mi occupavo di tutto: tenevo i contatti con la casa editrice inglese, progettavo i contenuti, li traducevo (e scrivevo dove non erano tradotti), li impaginavo e davo istruzioni al fotolitista sul montaggio di foto ed elementi grafici, comprese le famigerate percentuali di colore in quadricromia: per capirci, se volevi un riquadro verde chiaro dovevi indicare al fotolitista che il fondo aveva un 30% di ciano e un 20% di giallo, e cosi’ via, visto che a lui arrivavano semplicemente le pagine stampate con una LaserWriter Apple in bianco e nero e a 300 dpi.
Dopo qualche mese (e qualche numero) cominciai ad affidare ai redattori esterni e interni una parte consistente degli articoli e in qualche caso delle traduzioni dove ancora si traduceva, ma continuai a occuparmi di tutto il resto.
Soltanto quando lasciai Milano per tornare nel profondo (e desolato, come sempre) Sud, lasciai tutto nelle mani di Stefano Gallarini, che era allora un semplice redattore ma già molto in gamba in quanto veniva dal settore del copywriting avendo lavorato in un’importante agenzia, collaborando a distanza per un certo periodo solo per la parte grafica e di impaginazione, ricevendo i testi via modem e inviando o portando di persona gli impaginati su supporti magneto-ottici dell’epoca.

RGP: Hai mai pensato di rimetterti alla guida di una rivista o di fondarne una tua?

BDB: Non solo l’ho pensato, ma l’ho fatto: qualche anno dopo realizzai per Xenia la prima rivista informatica ‘divulgativa’ (parliamo del periodo in cui le riviste IT erano molto ‘per addetti ai lavori’), si chiamava GigaByte e durò per una dozzina di numeri riscuotendo un notevole successo, tuttavia essendo molto incentrata sullo shareware e sul freeware e in un’epoca in cui non c’era ancora il Web per scaricare i programmi, da una parte rimase ‘monca’ in quanto priva di un disco allegato (a parte un floppy sull’ultimo numero, ma ormai era troppo tardi) e dall’altra non sopravvisse alla mancanza di pubblicità che derivava appunto dal suo aspetto ‘poco commerciale’ conseguente alla scelta di promuovere il software libero.
In seguito realizzai la prima rivista italiana interattiva e mutimediale su CD-ROM, si chiamava MacPower e come il nome lascia capire era per i computer Apple, cui si affiancò una testata simile per Windows e in seguito anche una raccolta di shreware-freeware per Mac con allegato cartaceo.
C’e’ stata poi la pausa di qualche anno (dal 2000 al 2003) in cui ho curato ben dodici riviste di informatica per l’editore romano Play Press Publishing come direttore di redazione, occupandomi anche della nascita di nuove riviste oltre che del reclutamento e addestramento di nuove leve redazionali.
Anche anni dopo, e fino a qualche anno fa, in effetti oltre a tradurre e scrivere articoli per varie testate ho realizzato intere pubblicazioni come freelance per vari editori, ma si trattava di guide tipo ‘libro’ su argomenti vari oppure di monografie (una collana sulla programmazione, per esempio, pubblicata da Future). In tutto ciò ho avuto modo di realizzare, anni fa e per un certo periodo, anche un altro mio sogno editoriale coltivato dai tempi di GigaByte: una rivista di informatica per bambini, basata su tutorial a fumetti e contenuti molto semplificati (era una ‘cugina’ de Il Mio Computer e si chiamava MiCo Junior, e fu realizzata in collaborazione con Idra Editing, lo studio di Marco Accordi Rickards).

RGP: Ora, invece, di cosa ti occupi? Sei rimasto nel mondo informatico, editoriale o hai cambiato totalmente ambiente?

BDB: Ho abbandonato il mondo dell’editoria ‘tradizionale’ da diversi anni, quando i contratti sono diventati osceni, i budget inaccettabili e le ‘norme redazionali’ scandalose, e quando ormai le testate in edicola sembravano dei ‘cloni’ e continuavano a offrire sempre le stesse cose, in maniera approssimativa, e subivano il veloce e inesorabile tracollo dovuto allo sviluppo dell’editoria su Web.
Da ciò la mia decisione di dedicarmi appunto all’editoria in Rete, come blogger prima e con la realizzazione di un mio network di blog in seguito, che ho dovuto poi mettere in ‘stand by’ per qualche anno perchè preso da impegni professionali di altro genere (legati soprattutto allo sviluppo Web ma per clienti vari) e che sto per rilanciare con la presenza di ben cinquanta blog a tema, dall’argomento generalista a quello più di nicchia, ma di questo leggerai sicuramente su FaceBook quando sarà il momento e quando ricomincerò a reclutare collaboratori e compagni d’avventura.

RGP: Domandona da un milione di dollari: cosa ne pensi dei giochi attuali?

BDB: Dipende, se la domanda è posta da un intervistatore a un divulgatore di settore oppure da un appassionato di retrogaming a una leggenda degli otto bit’… Scherzi a parte, in questi anni di giochi ne ho visti e anche giocati, avendo due figli che ovviamente sono cresciuti in mezzo all’hardware e hanno avuto le varie generazioni di console dagli anni novanta a oggi. Ho avuto quindi modo di seguirne l’evoluzione, di apprezzare molti titoli e anche, inevitabilmente, di constatare come col crescere delle risorse a disposizione degli sviluppatori si cadesse spesso nella banalità e nella commercialità che era difficile potersi permettere quando si doveva puntare sui contenuti per scarsità di mezzi (mi riferisco all’era degli otto bit) e la fatica era vinta solo dalla passione per molti game designer, che tra l’altro lavoravano quasi sempre in solitario dovendosi sobbarcare concept, grafica, interazione e addirittura, in alcuni casi, sonoro.
Ciò non toglie che nel tempo l’industria dei videogiochi abbia prodotto delle vere e proprie ‘perle’ che brillano tanto per estetica quanto per contenuti, oppure semplicemente per originalità.

RGP: Molti videogiocatori (anche di vecchia data) affermano che diventando adulti la voglia di giocare venga meno o che comunque si diventi più esigenti per potersi divertire; cosa ne pensi a proposito?

BDB: Non è la voglia di giocare che viene meno, secondo me. Più che altro si viene assorbiti da mille pensieri, impegni e responsabilità (ma anche distrazioni) che per forza di cose limitano tanto il tempo quanto la qualità di quest’ultimo quando si tratta di videogiocare, se poi si aggiunge che rispetto ai coin-op o a molti giochi a otto bit i titoli attuali spesso richiedono una fase di ‘ambientazione’ molto più lunga e non offrono l’occasione del ‘casual gaming’, va da sè che gli adulti non riescano a dedicarsi a più di un titolo per volta e anche per un mese e oltre, e il ‘diventare esigenti’ viene proprio dal poter investire così poco tempo e di conseguenza si tende a farlo solo con giochi di qualità.

RGP: Utilizzi ancora i videogiochi?

BDB: Al momento riesco a godermi solo qualche partita con il WII, che ritengo una macchina rivoluzionaria per aver strappato il giocatore dalla sua posizione atavica e averlo costretto a muoversi se non addirittura a stare in piedi e… sudare. Avrei una gran voglia di cimentarmi in titoli come Call of Duty Modern Warfare o il prossimo Metal Gear Solid (che ho apprezzato sin dalla prima versione per PlayStation), ma mi manca il tempo e poi, se io passo il tempo a videogiocare, chi si occupa di ‘promuovere’ i videogiochi al posto mio?

RGP: Quanto tempo passi in media a giocare e quali macchine utilizzi?

BDB: Come avrai capito qualche ora al mese, non di più, e per ora solo su WII.

RGP: Sicuramente anni fa avrai immaginato qualche volta come sarebbero state le console, i computer e i videogames da lì a vent’anni. Pensi che si siano sono evolute come tu immaginavi o sei rimasto “deluso” dall’evoluzione tecnologica di questi ultimi anni?

BDB: Assolutamente no, ho avuto modo di ‘vivere’ e apprezzare sia l’evoluzione delle console sia quella dei computer e dei dispositivi mobili (compresi PDA e smartphone), tanto da un punto di vista giornalistico quanto in prima persona come utilizzatore finale. Da divoratore di letteratura fantascientifica lo sviluppo dell’hardware e delle interfacce mi entusiasma quasi quanto il veder trasporre sul grande schermo i vecchi miti dei fumetti di super eroi della mia infanzia.
Se si escludono le boiate partorite da mero interesse commerciale, e quelle non mancano mai nè all’interno del mercato hardware e software nè in quello cinematografico, ovviamente.

RGP: Qui su Retrogaming Planet ho pubblicato un sondaggio che vorrei riproporti in versione ridotta: mi puoi dire cinque giochi, cinque macchine da gioco (console, PC o tascabili) e cinque intro o finali che ti porteresti sulla classica isola deserta?

BDB: Cinque? Proverò a farlo, senza restare troppo legato al passato, ma in un’ottica cronologica senz’altro… e’ comunque difficile: un’avventura Infocom della prima generazione (Zork o Lurking Horror che sia) su Apple II, Maniac Mansion su Commodore 64 o Monkey Island su Amiga, Tomb Raider su PS1, Eternal Darkness o Animal Crossing su Cube, Metal Gear Solid su PS1 o l’ultimo episodio su PS3.
Lo so, ne ho citati alcuni doppi ma era inevitabile, e comunque per le intro e i finali mi rifaccio proprio ai giochi citati, nella classifica, in molti casi.

RGP: Sei capace di programmare? Se si quale linguaggio utilizzi?

BDB: Al momento mi ‘sporco le mani’ con il PHP e con ActionScript, ma adoro la programmazione in generale (dai tempi del BASIC e dell’Assembly per Z80) e non escludo che finirò per imparare anche l’AJAX o addirittura Python.
Dipenderà dalle esigenze di sviluppo che si presenteranno e dal tempo a disposizione.

RGP: Hai imparato da autodidatta o seguendo studi specifici?

BDB: A parte un corso di programmazione seguito ai tempi del sistema operativo CPM (e dei floppy da 5 pollici), che frequentai giusto per il titolo di studio perchè conoscevo già l’argomento, ho sempre studiato da autodidatta e soprattutto oggi metto a frutto l’esperienza trasmessa da moltissimi ‘istruttori’ per mezzo di libri e videocorsi, sempre più accessibili e completi.

RGP: Hai un consiglio da dare a chi volesse cominciare a programmare in un qualche linguaggio?

BDB: Sicuramente quello di assimilare soprattutto i concetti di programmazione in generale (dati e istruzioni, variabili e costanti, cicli, funzioni, proprietà degli oggetti, ecc) e non trascurare i concetti legati all’interfaccia utente e all’interazione. Dopodichè i linguaggi sono tutti validi e ognuno ha un valore a sè legato al particolare ambito applicativo. Magari, se proprio bisogna investire tempo ed energie in qualcosa di particolare, di non trascurare il Web e dispositivi mobili, ovviamente. Ma più di ogni altra cosa, il mio consiglio per chiunque voglia diventare un professionista in qualsiasi linguaggio o ambito tecnologico (ma non solo) è di imparare un linguaggio umano fondamentale prima di quelli dei computer: l’inglese.
Ciò aprirà molte più porte e traccerà molte più strade per opportunità di apprendimento, specializzazione e impiego.

RGP: Un consiglio invece a chi volesse intraprendere la carriera di redattore di videogiochi?

BDB: Magari farsi una buona cultura ‘storica’ in modo da avere dei termini di paragone, leggere molto (parlo di libri, non riviste) e non disdegnare la cultura generale e l’arte (sia quella classica sia quella cinematografica e musicale) in quanto i riferimenti a opere, personaggi e citazioni sono sempre validi per arricchire un articolo, ma occorre sapersi proteggere dagli strafalcioni (Mai Dire Grande Fratello insegna). Dopodichè esaminare il lavoro altrui nel settore con occhio critico per saperne cogliere tanto le virtù (da imitare) quanto i difetti (da evitare).

RGP: Dopo il tuo ‘addio ufficiale’ al settore dell’editoria videoludica nel corso del GameCon di qualche anno fa, nessuno pensava di vederti tornare e soprattutto a pieno titolo nel settore dei videogiochi, ma l’annuncio del tuo ritorno nelle vesti di curatore del primo museo italiano ed europeo dei videogiochi, nel corso dell’IVDC, ha prodotto una sorta di ‘tremito nella Forza’, come direbbero in Star Wars… Tu come hai vissuto e come stai vivendo questa importante ‘nomina’ e soprattutto la nascita di questo museo?

BDB: Ti confesso che nemmeno io mi aspettavo la ‘standing ovation’ che si è prodotta alla IULM nel corso dell’annuncio, come non mi aspettavo di veder realizzato un sogno che era troppo bello addirittura per essere ‘immaginato’, almeno fino a qualche anno fa.
Puoi capire l’emozione provata quando, pochissimo tempo prima (in occasione del VideoGame History 2009 da cui ero stato invitato proprio personalmente da Marco Accordi e ufficialmente da AIOMI , mi è stato confidato che il progetto del museo si era concretizzato e che sarebbe stato annunciato ufficialmente pochi giorni dopo.
L’opportunità di partecipare in prima persona al progetto e vederlo nascere nel corso del nuovo anno, rappresenta per me un traguardo ma allo stesso tempo l’inizio di una nuova epoca, in cui si valorizzerà il passato ma si guarderà al futuro con occhi nuovi, e in cui il videogioco sarà finalmente riconosciuto come un’arte degna di essere documentata storicamente anche per vie ‘ufficiali’, e magari sarà l’occasione giusta per rivivere qualche emozione e qualche ricordo ormai ‘sopiti’ ma sempre vivi come il proverbiale fuoco sotto la cenere.
Spero di averti come ‘inviato speciale’ all’inaugurazione per intervistarmi nelle vesti di curatore, non posso darti l’esclusiva ma di certo sei ufficialmente invitato sin da ora.

RGP: Posso rifiutare un invito fatto personalmente da un personaggio storico come BDB? Assolutamente no…
Un’ultima domanda: sapevi di essere presente su Wikipedia con una pagina dedicata e di avere due pagine di riferimento sul sito di AIOMI (riguardo al Museo del Videogioco e all’ IVDC ITALIAN VIDEOGAME DEVELOPERS CONFERENCE, del quale BDB parla nella domanda precedente)?

BDB: Sull’argomento della mia presenza in Wikipedia edizione italiana si è già discusso tanto anche on-line, quindi mi limito a esprimere la mia profonda gratitudine a chi ha contribuito a crearne il contenuto, accuratissimo, e a chi l’ha proposta come primo contributo ufficiale di AIOMI ai contenuti enciclopedici ‘liberi’ sul mondo videoludico!

RGP: Sappiamo che di recente sei tornato in edicola con una nuova rivista dedicata alle Apps per i sistemi Android iOS! Come mai questo ritorno alla ‘carta’ dopo una chiara conversione al digitale e al Web?

BDB: Diciamo che i motivi sono diversi, ma gioca il suo ruolo anche una certa nostalgia dei ritmi e della lavorazione redazionali di un tempo, e il desiderio di rimettersi a confronto con i limiti della stampa proprio dopo varie esperienze di contenuti digitali e per il Web, per capire come potrebbero essere superati e se il mercato è ancora ricettivo in tal senso. Naturalmente va visto come un semplice esperimento, un’esperienza che sicuramente sarà difficile replicare e che si è concretizzata solo grazie alla volontà dell’editore e al suo coraggio di produrre una nuova testata di informatica in un panorama veramente critico della stampa italiana e anche mondiale. Speriamo che l’esperimento abbia successo, mi spiacerebbe se non accadesse, tanto per me e l’editore quanto per tutti coloro (tanti) che hanno comunicato il loro entusiasmo e apprezzamento per la pubblicazione.

RGP: Altri progetti in corso e per il futuro?

BDB: Diversi progetti, ovviamente. Continua la collaborazione con AIOMI per il Museo del Videogioco capitolino, come la partecipazione ad altri eventi e progetti relativi alla preservazione della memoria storica informatica e videoludica, anche con realtà del Nord, dove attualmente risiedo.
Nello stesso tempo, parallelamente alle attività su Web che riguardano sia sviluppo di siti e portali sia creazione di contenuti e SEO, sto cercando di individuare strade interessanti relative allo sviluppo per dispositivi mobili, ma in tutto questo devo ancora decidere cosa farò “da grande”, visto che non riesco proprio ad invecchiare 🙂

RGP: Siamo arrivati alla conclusione dell’intervista anche se con quello che avresti da raccontare potremmo andare avanti un giorno intero 🙂
In ogni caso grazie davvero per il tempo concessomi e per aver risposto pazientemente ed in modo esaustivo a tutte le mie domande!

BDB: Grazie a te per l’opportunità di informare il pubblico attraverso l’intervista!

©Copyright 2009 – 2023 by Retrogaming Planet – Robert Grechi
 

Autore: Robert Grechi

Nato nel 1977 ho vissuto in prima persona la nascita dei videogames fin dal lontano 1982, anno in cui entro in possesso di uno splendido Colecovision e con il quale comincio la mia “carriera” videoludica! Da allora è stato un susseguirsi di Home Computer e Console che hanno ampliato ulteriormente l’interesse per i videogiochi al punto da aprire, nel mese di Luglio 2009, il blog Retrogaming Planet interamente dedicato al mondo videoludico anni ’80 – ‘ 90!

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