Continuano le recensioni dei migliori libri italiani ed internazionali dedicati ai videogames. Questa volta, però, prima di parlare del libro VITE INFINITE (che potrete acquistare su Amazon cliccando QUI), Retrogaming Planet ha intervistato l’autore DIEGO K. PIERINI, per conoscere qualcosa in più della sua eclettica carriera. Una carriera ricca di attività teatrali, cinematografiche ed, ovviamente, letterarie per approdare infine alla localizzazione di videogiochi!
Di questo, però, parlerà direttamente Diego nel corso dell’intervista…
RGP: Ciao Diego e benvenuto su Retrogaming Planet!
DP: Ciao a tutti, so che è una cosa che può apparire banalmente rituale ma… complimenti vivissimi per il vostro lavoro. Non per sviolinare, eh, ma quando si diventa anziani sapere che qualcuno si prende cura di fare un lavoro critico, storico ed enciclopedico come il vostro fa un certo piacere.
RGP: Grazie per i complimenti che, naturalmente, non possono che farmi piacere! Vorrei innanzitutto ringraziarti per avermi contattato e presentato la tua opera letteraria che, a breve, verrà recensita proprio qui sulle pagine virtuali di Retrogaming Planet!
DP: Mi sembrava il minimo. Conoscevo il sito ma è stato discutendo del libro con BONAVENTURA DI BELLO ho scoperto che i gradi di separazione non erano poi molti. Su suo suggerimento, mi sono quindi fatto sotto.
RGP: Ho pensato di intervistarti PRIMA di recensire il libro per dare la possibilità ai lettori di conoscere la tua carriera e, solo in un secondo tempo, acquistare la tua opera. In merito alla tua carriera sappiamo infatti che, prima di approdare all’editoria videoludica, ti sei cimentato in svariate attività non propriamente dedicate ai videogiochi…Vorresti farci una veloce “carrellata” introduttiva delle esperienze fatte finora?
DP: Mi sembra un’ottima idea, un’intervista a mo’ di bugiardino farmaceutico: “Occhio, ora sapete a cosa andate incontro”. Come dico spesso, non sapendo fare nulla realmente bene, ho deciso di adottare un approccio ludico all’esistenza: gioco a prendere ruoli professionali diversi. Esploro, tento, il più delle volte ottenendo grame figure barbine, sia chiaro, ma la gratificazione è comunque tanta – e ho sempre modo di imparare.
Ho cominciato scrivendo di cinema e musica per alcune testate di vario tipo (Ciak, HMP, 35mm, Loudvision) e lavorando per programmi televisivi di settore. Ed è proprio alla televisione (Rai, in primis) che sono rimasto più legato, finendo a fare l’autore per Parla con me di Serena Dandini, il consulente per Voyager e una manciata di altre trasmissioni – ora sono a Gazebo. A lato, ho appunto sperimentato: ho fatto l’editorialista in radio, pubblicato dischi, realizzato corti, promo, videoclip per band e affini, mi sono occupato di comunicazione pubblicitaria per un grande festival musicale italiano.
Oggi lavoro come traduttore freelance di videogiochi per SYNTHESIS e continuo a scrivere libri – tutti rigorosamente diversi uno dall’altro.
La verità, comunque, è che io volevo essere Gabriel Batistuta.
RGP: Dopo esserti occupato di consulenza, siti Web, musica, teatro, cinema e chi più ne ha più ne metta, diciamo che Il videogioco è l’anello mancante della catena dato che, almeno per quanto mi riguarda, i videogames sono una miscellanea digitale di musica, cinema ed arte in generale…
DP: Più che anello mancante, nel mio caso i videogiochi sono una sorta di grande calderone primordiale. Non sono in grado di dire quale sia stata la passione nata per prima, se quella per il cinema o la musica o quella per i videogames. Ma senza dubbio nel momento della mia formazione il tratto squisitamente interattivo dei VG ha rappresentato una chiave fondamentale per maturare un approccio creativo, direi ‘hacker’, alla cultura – laddove con hacker mi riferisco alla connotazione filosofica del termine: trovandomi di fronte a un oggetto che cattura la mia attenzione, sento il bisogno di manipolarlo, provarlo, smontarlo. Farlo mio, (ri)produrlo.
Sul fatto che poi i videogiochi siano una miscellanea potremmo aprire un dibattito lungo e complessissimo. Nel libro il tema viene toccato, seppur con la leggerezza che ho cercato di rendere chiave stilistica: in soldoni, posso dire che per quanto non sia orientato a considerare il videogioco una forma d’arte in senso stretto, ritengo che sia una sorta di strumento tecnico capace di sbloccare potenzialità e aprire nuovi sentieri e facendolo su un piano squisitamente multimediale.
L’intersezione con il cinema è lampante: i due settori si sono vicendevolmente influenzati ben oltre quanto si possa vedere in superficie. Ma in fondo è sempre così, quando una tecnica crescente si mescola a degli impulsi espressivi: guarda cosa è successo alla musica quando qualcuno ha deciso di attaccare una chitarra alla corrente elettrica.
RGP: Di cosa parli nel libro?
DP: Volevo parlare di cupcakes ma la mia cucina è bruciata circa un biennio fa mentre preparavo dei semplici toast. Non sono uno storico, né un accademico, né un informatico, né un ex giornalista videoludico. Diciamocelo: che motivo ci sarebbe per stare a sentire il barboso sproloquio su Galaga eruttato da, che so, il cantante di un gruppo post-hardcore? Sarebbe un po’ come (Maccio Capatonda docet) mettersi a leggere le recensioni di cinema pubblicate su Quattroruote.
Allora mi sono chiesto: evito di scriverne o trovo una chiave diversa? Siccome sono sadico, ho optato per la seconda e non vi ho risparmiato una nuova fatica letteraria, scegliendo di raccontare il mondo dei videogiochi in modo non lineare, attraverso ricordi, impressioni, focalizzandomi non tanto – o non solo – sul videogame, quanto sul videogamer. Raccontando, insomma, una storia che è in parte mia ma in parte è pure condivisa: i pomeriggi in sala giochi, le imprecazioni di fronte a un Guru Meditation, i floppy tritati a forza di swapping, l’invidia per il vicino che ha l’Amiga 500 quando tu hai un 8088 scassato col monitor a fosfori verdi, le tonnellate di riviste accumulate nella camera di liceale. Poi, certo, ci sono anche spunti di discussione, qualche chicca per appassionati, una digressione su quale sia il possibile futuro del videogame, una classifica delle macchine più sfigate mai ideate.
Ma ripeto: secondo me, più che dell’oggetto videogioco, il libro parla del sentimento videogioco. Al centro c’è la prospettiva emozionale. E al centro di questa, il cazzeggio spinto, perché non sono una persona seria.
RGP: Come ti sei documentato per realizzarlo? Studio del materiale disponibile in rete o semplice passione personale con tanto di “gavetta” nelle sale giochi anni ’80?
DP: In realtà ho cercato di andare praticamente sempre (diciamo nel 75% dei casi) a memoria. Era un po’ una sfida (l’alternativa erano gli integratori al fosforo o la Settimana Enigmistica), ma era soprattutto un modo per tenermi lontano dall’enciclopedismo. Come spiegavo prima, un saggio serio, storico, non avrebbe avuto senso. Volevo alleggerire, rendere tutto più fluido, magari imperfetto – e infatti a un certo punto mi sono reso conto di aver clamorosamente confuso un gioco col suo seguito… l’errore è ancora lì, stampato.
D’altronde da ragazzini la memoria è una spugna e io in quegli anni ero un classico nerd: zero interazione con il genere femminile (o almeno, interazione gratificante), vagoni di soldi spesi per comprare The Games Machine, K e via dicendo, idolatria per quello che sapeva finire Street Fighter 2 in All Perfect. Poi, da collezionista di retrogames e retrocomputer finisco per passare un sacco di tempo a dover leggere documentazioni, inserzioni e via discorrendo, quindi in linea di massima i ricordi restano abbastanza vividi.
Senza poi menzionare la gigantesca importanza del confronto continuo, sui social, con la cerchia di amici appassionati. La documentazione più importante è stata in realtà di tipo critico/filosofico – D’Alessandro, Bittanti, Ascione, ecc. – perché nei momenti di maggior serietà mi interessava riuscire a offrire contenuti minimamente circostanziati e sapidi.
RGP: Con “Vite Infinite” quale target di pubblico ti prefiggi di raggiungere? Il quarantenne nostalgico (Il sottoscritto) che non riesce a guardare avanti senza provare un pizzico di malinconia per gli “anni d’oro”, il classico nerd sociopatico chiuso in camera a giocare fino a notte fonda o i giovani gamers attuali che non riescono a immaginare cosa voleva dire giocare con i videogiochi negli anni 80-90?
DP: Se stavolta riesco a venderlo almeno ai miei parenti sono già un uomo soddisfatto. Detto questo, io cerco sempre di scrivere per tutti, a livello di contenuto – il quarantenne ripenserà con tenerezza ai toni cromatici ipersaturi della sua adolescenza, il gamer più giovane si interesserà di più agli excursus sul rapporto tra gioco odierno e videogame di prima generazione, magari trovando anche qualche punto critico circa le mie valutazioni qualitative o estetiche su questo o quel titolo, o su una determinata macchina. E anche i non appassionati potrebbero, la butto lì: attraverso i riferimenti a musica, cinema e altri medi?, scoprire nuovi fattori di interesse. “Vite infinite” vuole prima di tutto raccontare una storia. Una bella storia, perché il videogame è un oggetto bello. E le belle storie, credo, possono piacere a tutti.
RGP: Oltre alla scrittura, ti dedichi anche ad un altro aspetto del mondo videoludico, forse uno degli aspetti più sottovalutati di sempre ma assolutamente fondamentale per la buona riuscita di un gioco. Ce ne vuoi parlare?
DP: Come anticipavo prima, sono un traduttore freelance. Sempre di scrittura si tratta, in realtà, ed è un compito effettivamente complesso – perché non si tratta semplicemente di tradurre, ma soprattutto di adattare il contenuto, peraltro non solo verbale, di un gioco, per un pubblico il cui background culturale è spesso molto diverso, sia in termini di puri riferimenti che di inclinazioni, attitudini (ad esempio il senso dell’umorismo). In questi termini, l’evoluzione sempre più narrativa e cinematografica del gioco odierno, che è ben diverso dallo ‘scacciapensieri ipervitaminizzato’ degli anni 80, rende la qualità di una traduzione un fattore in certi casi determinante per la riuscita di un videogioco. Prendi un titolo come GTA: fosse tradotto male, tutto il fascino dei personaggi e delle loro dinamiche si dissolverebbe.
RGP: Quali sono I tuoi progetti futuri? Credi ci possa essere una sorta di “Vite Infinite 2.0” o ti dedicherai ad altro?
DP: Dunque, ora ho in cantiere un romanzo distopico e l’adattamento a racconto di una graphic novel di cui ho interrotto lo sviluppo qualche anno fa per problemi di tempo, inoltre sto cominciando a raccogliere le idee per dare un seguito al mio romanzo precedente, “Overdrive”, anche se in questo caso la mia idea è quella di fare un esperimento più transmediale, lavorando su più canali espressivi all’unisono. Di videogiochi sono abbastanza certo che tornerò a scrivere, non so in quale forma: se sarà un libro, di certo non arriverà presto. Prima voglio stare un po’ a guardare cosa succede nel settore, perché secondo me siamo alle porte di un nuovo, importante salto di paradigma. Un lustro, al massimo, e poi ne vedremo delle belle, noi gamer.
RGP: non mi resta che ringraziare Diego per la disponibilità dimostrata, augurando un enorme successo alla sua opera “Vite Infinite”!
DP: Grazie a voi! E please continue, sempre!
PS: In attesa dell’imminente recensione del libro, potrete partecipare all’evento “Vite infinite” – Not just 4 gamers! che si terrà a Milano Venerdì dalle ore 21:30 alle ore 23:59, presso lo Spazio Ligera di Via Padova 133 durante il quale Andrea Minini Saldini, direttore responsabile di IGN Italia e lo scrittore cult Federico Riccardo Chendi presenteranno l’opera di Diego Pierini!
Per ulteriori informazioni potete visitare la PAGINA UFFICIALE FACEBOOK dell’evento!
Robert “RGP” Grechi