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Come potrete vedere in Home Page, la mia precedente recensione (The Story of C64 in pixels) era incentrata su una delle più celebri piattaforme casalinghe, il Commodore 64. Ed in effetti, quasi tutti i miei contributi a questo sito trattano di hardware prodotti per le case, sia home computer che console.
Non si può però parlare della storia dei videogames senza lasciare ampio spazio a quei giochi a gettoni che tutti noi, della vecchia guardia, abbiamo adorato negli anni Settanta ed Ottanta.
Un’epoca che non esiste più, nella quale si andava in sala giochi per bearsi di grafica e sonoro irraggiungibili per le piattaforme casalinghe, sperando ingenuamente che le conversioni per il nostro computer o la nostra console fossero all’altezza di cotanta potenza.
Per celebrare quegli anni ho deciso di portare alla vostra attenzione un libro, pubblicato dalla Schiffer, che racconta, soprattutto per immagini, le varie epoche dell’età d’oro dei coin-op…
The Encyclopedia Of Arcade Video Games si apre con un articolo su Computer Space e sulla genesi del primo coin-op, creato da Nolan Bushnell quando ancora la sua compagnia si chiamava Nutting Associates (in seguito sarebbe diventata Atari).
Da questo gioco, che ottenne un moderato successo ma parecchia visibilità, seguì il fenomeno PONG, con tutte le implicazioni legali causate dall’estrema somiglianza con il Tennis creato da RALPH BAER per la sua Odyssey e dall’enorme serie di cloni che invasero i bar dei tempi.
La cosa assurda fu che Bushnell cercò invano di vendere il suo gioco alle case produttrici di flipper di allora (Bally, Chicago Coin, Midway) ma solo dopo il loro rifiuto decise di produrlo per conto proprio dopodichè si vide sommerso da copie prive di copyright prodotte, tra gli altri, anche dalle case che non avevano accettato Pong!
Passiamo oltre…
Il libro continua con i primi giochi seguiti a Pong, mostrati nella piena forma dei loro cabinati dei tempi, con rapide didascalie ai margini che ne raccontano l’origine e qualche curiosità.
Troviamo Atari Gran Trak, Tank, Asteroids, Gun Fight, Destruction Derbye, , Breakout ed altri classici dei primissimo periodo, quello in cui gli americani la facevano da padroni.
La seconda parte ci racconta invece l’arrivo nelle sale giochi di quel terremoto chiamato Space Invaders, grazie al quale si iniziò a giocare anche a quanto veniva prodotto in Giappone. E’ un periodo in cui i produttori come Namco e Taito hanno ancora difficoltà ad entrare personalmente nel mercato americano e si fanno rappresentare da produttori del posto, che ottengono le licenze dei loro giochi più celebri.
Abbiamo quindi un miscuglio di giochi licenziati come Frogger ad altri partoriti negli USA come Sprint 2, Clowns, Midnight Racer e Atari’s Football. Tutti giochi che, successivamente, arriveranno anche sotto forma di conversione per i primi home computer.
Si fanno largo produttori come Gremlin e Midway e comincia ad avere un certo seguito la moda di proporre titoli con cabinati simili a tavolini, con schermo centrale posizionato orizzontalmente, denominati Cocktail table.
La terza parte coincide con i primi anni ottanta, chiamati dall’autore Pac-Man Years.
E’ il periodo del fenomeno Pac-Man, uno sconvolgimento clamoroso in un universo, quello dei coin-op, che era generalmente costituito da giochi di combattimento, di guida o sportivi. Il fatto che per la prima volta il protagonista fosse un personaggio quasi fumettistico e che la violenza fosse praticamente assente rese questo gioco celebre anche all’interno dell’universo femminile, determinando un fenomeno che ancora oggi molti produttori cercano (quasi sempre invano) di inseguire.
Sono gli anni in cui si sente prepotentemente il nome di Taito, ma sono anche gli anni in cui classici come Missile Command, Monaco Gp, Carnival, Defender e Phoenix fanno la loro apparizione.
Altri protagonisti nascono in questo periodo, che coincide anche con la personificazione del protagonista del videogame. Prima di Pac-man, infatti, il giocatore comandava anonime navette spaziali, una squadra di basket o football, una vettura da corsa; Pac-man, invece, è il primo personaggio nato in un videogame ed a lui ne faranno seguito alcuni, come Q*BERT, nati direttamente per questo media, mentre in altri casi saranno i fumetti a prestare il loro protagonista per un gioco (vedi Popeye).
La quarta parte vede, invece, alcuni esperimenti particolari cercare di modificare il concetto di videogioco come era inteso ai tempi: casi come Centipede, Birdie King e Tempest introducevano concept molto diversi da quelli presenti nelle sale (che, diciamolo, cercavano quasi sempre di scopiazzare quelle tre o quattro buone idee partorite da pochi reali geni).
Troviamo il labirinto isometrico di Crystal Castles, il gioco basato sulla band dei Journey, quel piccolo capolavoro di Xevious (che introduce lo scrolling verticale negli shoot’em up delle sale giochi) e troviamo anche la parentesi dei laser games, gli antesiniani dei titoli tutta grafica e Full Motion Video che caratterizzarono la prima epoca dei CD sulle piattaforme casalinghe e che ricordiamo nei soli panni dei due titoli più celebri, Dragon’s Lair e Space Ace.
In questo periodo però arrivano anche Mario Bros., uno dei protagonisti più carismatici di sempre, e quel capolavoro di POLE POSITION di Atari.
La quinta parte affronta il periodo successivo al 1985, periodo nel quale si comincia a sentire la concorrenza delle piattaforme casalinghe; non è un caso che la carrellata di giochi di questo capitolo termini con The House Of Dead di Sega, uno dei pochissimi coin-op che si può ancora trovare in qualche sala giochi dei centri commerciali o luoghi di villeggiatura.
La sesta parte è un capitolo discorsivo che tratta della globalizzazione del mondo dei videogiochi da bar e dell’importanza di nazioni come il Giappone nello sviluppo e nella crescita di questo mondo, nato negli USA ma che non sarebbe quello che è oggi senza l’apporto di titoli provenienti da altri stati. Fa molto piacere, tra le tante case, veder citata anche Zaccaria, la prima realtà italiana (nonché l’unica di un certo spessore) a produrre coin-op.
Il settimo capitolo tratta della mania di collezionare non solo giochi ma tutto quello che gravitava attorno a quel mondo, dalle pubblicità agli adesivi presenti sui cabinati, per non parlare degli oggetti promozionali come palline da Golf o T-Shirt. E non possono poi mancare mini versioni a cristalli liquidi del classici come Pac-Man o Galaxian.
Infine l’ultimo capitolo nel quale si parla della moda (e del piacere, diciamolo) di possedere il proprio coin-op, ovviamente in versione originale e perfettamente funzionante.
Precisiamo che questo libro non è un trattato storico ma fornisce una breve infarinatura sul classici che molti di noi hanno giocato nelle sale giochi e nei barlasciandoci poi in balia di un’impressionante galleria fotografica di grandi videogiochi e di piccole gemme dimenticate dai più. Ancora una volta si nota l’origine statunitense della pubblicazione: molti titoli presenti non hanno nemmeno varcato i confini degli USA e noi li conosciamo solo grazie all’emulazione.
Non ci farà una cultura ma si ha l’impressione di entrare in un museo fotografico o di leggere uno dei tanti libri scritti per celebrare case automobilistiche, come Ferrari o Alfa Romeo.
In tutti questi casi il racconto è solo un’introduzione alle immagini meritevoli di far affiorare ricordi nei meno giovani ed appassionando anche i ragazzi.
Personalmente mi sono divertito non poco a sfogliare queste pagine e mi auguro sia lo stesso anche per voi…
Un libro vivamente consigliato!