INTERVISTA SCRITTA DA ALESSANDRO GRUSSU SU TRACCIA DI RGP
Considerato l’esiguo spazio che in questi anni ho dedicato al “magico” ZX SPECTRUM, ho pensato di rimediare definitivamente intervistando Alessandro Grussu, autore dello splendido volume SPECTRUMPEDIA…un’opera che nessun vero appassionato di videogames e computer dovrebbe lasciarsi sfuggire!
Apriamo le danze…
Robert “RGP” Grechi
RGP: Ciao Alessandro e benvenuto su Retrogaming Planet!
AG: Grazie Robert! E grazie per l’invito a parlare della mia esperienza!
RGP: Innanzitutto ci racconti come è stata la tua infanzia videoludica e quale macchina hai utilizzato per la prima volta?
AG: Le mie primissime esperienze in tal senso risalgono al 1983, quando a dieci anni mi dilettavo a giochicchiare con i giochi tascabili a cristalli liquidi di amici e compagni di scuola. In particolare ricordo un gioco Tomytronic molto carino, credo fosse Alien Attack. Nel gennaio del 1984 però ebbi un’esperienza destinata a influenzare profondamente il corso degli eventi successivi: un ragazzo che abitava al piano di sopra dello stabile dove allora vivevo con la mia famiglia prestò a mio fratello il suo ZX Spectrum 16K per qualche giorno. Andò a finire che ci passai su molto più tempo io di lui, giocando a Thro’ The Wall (il gioco palla-e-tamburello contenuto nella cassetta dimostrativa Horizons fornita col computer) così come a Horace Goes Skiing e Jet-Pac, nonché a fare i primi esperimenti di BASIC dal prompt dei comandi.
Nel giugno di quello stesso anno mio padre comprò uno Spectrum 48K tutto per me… il resto è storia.
RGP: Sei capace di programmare e, se si, in quale linguaggio? Hai seguito studi specifici o sei un’autodidatta della programmazione?
AG: Fin dai primi tempi con lo Spectrum la programmazione ha occupato una “fetta” considerevole del mio utilizzo di quel computer. Mi divertivo un sacco a premere CAPS SHIFT e BREAK/SPACE per interrompere l’esecuzione dei programmi in BASIC e cercare di capire, con l’ausilio della versione italiana dei due manualetti forniti col computer, come funzionavano – così come modificare valori e comandi per vedere cosa succedeva!
Nel 1985 uscì in edicola il famoso corso Video BASIC in 20 puntate quindicinali del Gruppo Editoriale Jackson. Lo seguii tutto – l’ho ancora in ottimo stato e ho perfino digitalizzato i nastri in formato TZX per ospitarli sull’archivio di WORLD OF SPECTRUM – e di conseguenza imparai a programmare in BASIC in maniera abbastanza articolata e complessa, abilità che conservo ancor oggi. Solo negli ultimi due anni circa ho cominciato a imparare qualcosa del linguaggio macchina dello Z80 grazie alle numerosissime risorse che oggi si trovano in rete, ma che allora erano ben più difficili da reperire. La mia conoscenza attuale però è molto limitata e mi serve soprattutto per scrivermi le routine di caricamento e gestione dello schermo per i miei giochi. Non escludo che in seguito imparerò anche a fare qualcosa di più!
RGP: All’epoca hai realizzato qualche gioco o programma del quale vai particolarmente fiero e che ricordi con maggiore affetto?
AG: Visto che la mia conoscenza era limitata al BASIC, ho realizzato un’avventura testuale con una decina di locazioni e un parser molto, ma molto limitato… Lo scopo era quello di raggiungere una casa dove tramite la scoperta di un passaggio segreto si poteva ritrovare un tesoro sottratto da un ladro – al quale il giocatore doveva sparare con molta attenzione per evitare di ritrovarsi un proiettile in fronte! Per il resto in BASIC realizzavo soprattutto programmini di utilità, quali uno per il calcolo dei grafici di semplici funzioni o un rudimentale database.
Mi piaceva molto anche disegnare con Melbourne Draw, e la familiarità che molto tempo dopo, in ambito PC, acquistai subito con software quali Paint Shop Pro o CorelDraw si deve a quei primi esperimenti di grafica a 8 bit.
RGP: Al di là del mondo Sinclair ci sono (o ci sono stati) home computer o console che hanno lasciato il segno nella tua carriera di videogiocatore?
AG: Oltre ai miei Spectrum possiedo un Commodore 64 che mia cugina mi regalò in quanto non lo utilizzava (tra parentesi, ricordo che un giorno venne a farci visita mentre stavo giocando a Game Over sullo Spectrum e ne restò notevolmente impressionata!). Ci sono solo tre giochi che “invidio” a quella macchina: Maniac Mansion, Zak McKraken And The Alien Mindbenders e Apollo 18. Per il resto ho dei buoni ricordi videoludici, penso per esempio a Turrican – che sullo Spectrum è certamente un buon gioco, ma sulla sua piattaforma nativa è un capolavoro! – ma il C64 non mi ha mai coinvolto cognitivamente né emotivamente quanto lo Spectrum. Lo vedevo unicamente come una macchina per giocare, mentre lo Spectrum, nonostante i suoi limiti oggettivi, restava e resterà sempre il computer che mi ha aperto un intero mondo.
Quando arrivarono i 16-bit, sperimentai grazie ad amici e conoscenti l’Amiga e l’Atari ST, dei quali apprezzavo soprattutto i giochi di simulazione, strategia e gestionali. Su ST ho giocato e finito, ad esempio, Millennium 2.2 e Joan Of Arc. Restai però fedele al mio Spectrum; non sentivo l’esigenza di procurarmi una di quelle macchine, pur apprezzandole per le loro capacità grafiche e sonore.
Poi dal 1995 sono entrato nell’era PC con MS-DOS e Windows 3.11… e qui potrei starvi a parlare per ore, ma l’intervista è ancora lunga!
In quanto alle console, mi hanno sempre interessato assai meno dei computer: l’idea di una macchina “chiusa”, nella quale non potevi “guardare dentro” e che serviva soltanto per giocare, era pressoché estranea alla mia formazione. Non che le snobbassi – era un gran divertimento passare pomeriggi interi a giocare a Super Mario Kart o a Captain Tsubasa III sul Super NES di qualche amico – ma semplicemente non credevo che valesse la pena acquistarne uno. Solo in tempi recenti mi sono procurato da Ebay un Dreamcast giapponese completo e confezionato per giocare agli splendidi titoli usciti solamente per quella macchina, da Shenmue a Ikaruga.
Shenmue in particolare è una delle esperienze di gioco più immersive che possa citare; sono stato in Giappone nel 2008 e vi assicuro che l’atmosfera della vita quotidiana di un quartiere residenziale di una media/grande città di quel paese vi è ricreata in maniera impressionante.
Amavo invece tantissimo i coin-op. Al tempo della mia adolescenza le sale giochi erano posti a dir poco loschi, che nell’immaginario dei nostri genitori stavano a metà tra le bische clandestine e le fumerie d’oppio. Naturalmente non era così, ma quei tetri e fumosi locali erano spesso frequentati da gente – come dire? – poco raccomandabile. Oggi nelle sale entrano pure le ragazze o i padri assieme ai figli bambini; il solo pensarlo era inconcepibile a quei tempi. Al di là di ciò, ho giocato a dozzine di quei giochi e ne ho finiti parecchi, non pochi anche con un solo credito – per esempio, il primo, storico Street Fighter o Robocop.
RGP: Lo Spectrum ha influenzato non poco la tua vita ed infatti, qualche tempo fa, hai concluso e pubblicato un’opera editoriale che definire “storica” è riduttivo…ce ne puoi parlare?
AG: Il 24 aprile 2012 è stato celebrato il trentesimo anniversario della presentazione ufficiale dello Spectrum. L’atmosfera di fermento determinata da questo fatto nella comunità internazionale di retrocomputing/retrogaming, non solo quella strettamente legata ai computer Sinclair, sicuramente ha avuto un peso importante nella mia decisione di comporre la Spectrumpedia. Più di tutto, però, ha contribuito la constatazione che nessuno finora aveva ancora pensato a realizzare un’opera onnicomprensiva sullo Spectrum, cercando di vagliare fonti e conoscenze per offrire un quadro completo ed esauriente di tutto ciò che è necessario sapere su quel computer – in più con un occhio di riguardo alla situazione italiana.
RGP: Come sei riuscito a procurarti tutto il materiale che hai inserito nel libro, o dal quale hai tratto informazione, considerando inoltre che hai fatto tutto da solo (ed infatti mi chiedo come hai fatto a trovare il tempo per realizzare un progetto cosi ampio)?
AG: Le fonti sono state pubblicazioni, libri e riviste d’epoca della mia collezione personale, sia in formato cartaceo che digitale, ma soprattutto materiale reperito in rete a partire da quando nel 1997 ho riscoperto i sistemi d’epoca grazie all’emulazione, che mi ha aperto le porte del retrocomputing e del retrogaming. La mia conoscenza delle lingue mi ha indubbiamente favorito, dato che la stragrande maggioranza del materiale online sullo Spectrum è in inglese e in spagnolo. Per il russo mi son dovuto aiutare con un buon dizionario e con Google Translate! Le fonti sono comunque tutte citate nell’ottavo capitolo del libro, per cui vi rimando a esso se volete saperne di più.
RGP: Quanto è durato il progetto Spectrumpedia?
AG: Il 90% della Spectrumpedia è stato scritto esattamente in un mese e mezzo, dal 1° maggio al 15 giugno del 2012, impegnandomi giorno e notte, nel senso letterale del termine: non riuscivo ad addormentarmi se prima non finivo questo o quel paragrafo, col risultato che dormivo in media 5 ore, perché poi la mattina seguente dovevo essere al lavoro alle 8…! Il restante 10% è frutto di integrazioni, aggiustamenti e correzioni fornite da tutti coloro che hanno letto l’opera in anteprima, dandomi in seguito consigli utili per migliorarla. Ho ritenuto pertanto doveroso ringraziarli nella prefazione e nel testo della Spectrumpedia.
Parimenti vorrei in questa sede ringraziare Fabio D’Anna di RETROGAMING HISTORY e Marco Accordi Rickards e Alessia Padula di AIOMI e del VIGAMUS – VIdeoGAme MUSeum di Roma: hanno creduto nel mio progetto e mi hanno offerto praticamente “a scatola chiusa” la possibilità di pubblicarlo per i tipi di UNIVERSITALIA.
RGP: Dal tuo sito apprendiamo della creazione di ben sei giochi per ZX Spectrum negli ultimi due anni, tra cui il recentissimo Cousin Horace in cinque capitoli: come è nata la voglia di cimentarsi nella programmazione di una macchina che ha quasi 30 anni di vita sulle spalle?
AG: Dopo 30 anni di gioco su hardware sia reale ed emulato, e con l’avvento di strumenti di sviluppo che alleviano notevolmente la fatica di programmare – per esempio AGD di Jonathan Cauldwell o La Churrera dei Mojon Twins, passando per l’ottima suite ZX-Modules di Claus Jahn – ho deciso che era venuto il momento di “fare da me” e comporre quel “gioco ideale” che avrei voluto vedere sullo Spectrum ai tempi che furono. Così dopo Lost In My Spectrum, che è stato una sorta di “riscaldamento”, son venuti fuori tutti gli altri. Cousin Horace in particolare, oltre a omaggiare uno dei personaggi-icona dello Spectrum, rappresenta la mia idea di “gioco totale”, un’esperienza che coinvolga il videogiocatore da più punti di vista, mischiando insieme generi diversi – piattaforme, spara-e-fuggi, avventura/esplorazione ecc. – tenuti però insieme da un’ambientazione coesa e da un flusso narrativo che svela a poco a poco cosa c’è dietro il fatto che dà inizio a tutto quanto, nella fattispecie il rapimento dello Horace inglese.
RGP: Cosa, secondo te, contraddistingue i programmatori degli anni ’80, che operavano su Spectrum, Commodore 64 ed affini ed i programmatori attuali che, invece, lavoravano su PC e console potentissime?
AG: All’epoca degli 8-bit la programmazione era ancora qualcosa tutto sommato di artigianale. La maggior parte delle applicazioni e dei giochi erano realizzati da un solo individuo che a volte non aveva nemmeno un background specifico in tal senso. Costui, per ottenere un risultato almeno decente, doveva conoscere da cima a fondo la piattaforma su cui operava: hardware, firmware, Assembler ecc. Fu verso la fine degli anni ’80 che si affermarono con forza i team di sviluppo, in quanto macchine più potenti e complesse come l’Amiga o l’Atari ST richiedevano una programmazione specializzata: per il codice, la grafica, la musica e così via.
Oggi siamo arrivati al punto che per i titoli per PC e console è necessario uno sforzo simile a quello per la realizzazione di un film; è impensabile che ognuna delle persone in esso coinvolte possieda una conoscenza totale dell’architettura del sistema per quale lavora.
RGP: Tornando a bomba ai videogiochi, credi che il mondo videoludico possa ancora riservarci qualche sorpresa (come succedeva praticamente ogni giorno negli anni ’80) o che abbia ormai dato tutto il possibile a noi giocatori?
AG: Purtroppo, e questo lo noto soprattutto nel settore PC, la segmentazione del lavoro nell’industria videoludica significa anche bloatware, giochi “gonfiati” sviluppati su macchine ben più “performanti” di quelle dell’utente “medio” in quanto gli autori spesso lavorano a catena di montaggio, sono costretti a rispettare le tabelle di marcia e non hanno certo tempo (o voglia) di scrivere codice ottimizzato. È un sistema di tipo taylorista-fordista imposto dalle major che genera prodotti spesso fotocopia l’uno dell’altro – vedi l’abnorme proliferazione di seguiti o spin-off differenti l’uno dall’altro per dettagli tutto sommato cosmetici, per non parlare del malcostume dei “contenuti scaricabili” – e dalle richieste hardware sempre più esose.
Risultato finale: l’addormentamento delle masse causato dall’appiattimento del gusto.
Per questo motivo ritengo doveroso incoraggiare e sostenere gli sviluppatori più piccoli e indipendenti. È da loro che vengono ormai le idee più innovative in un contesto saturato da budget miliardari che partoriscono veri e propri junk-games. In loro rivedo lo spirito che animava i vari David Braben, Mike Singleton, Matthew Smith, Steve Turner, Raffaele Cecco, Jonathan Smith… gente che metteva la propria concezione del videogioco davanti a tutto il resto, profitti compresi.
RGP: Sempre dal tuo profilo notiamo che sei una persona poliedrica e con moltissimi interessi che vanno oltre il mondo informatico! Cosa puoi dirci a riguardo?
AG: Sono docente di ruolo nella scuola superiore per la classe di concorso A036 (Filosofia e scienze dell’educazione) e abilitato anche per la A037 (Filosofia e storia), nonché dottore di ricerca in Storia dell’Europa mediterranea e cultore della materia di Storia moderna, anche se di fatto mi sono occupato di questioni di storia contemporanea (XIX-XX sec.).
Parlo inglese, tedesco e spagnolo, quest’ultimo con accento argentino per via del fatto che l’ho perfezionato prima conversando con persone provenienti da quel grande paese e poi recandomi direttamente là per tre settimane, tra dicembre e gennaio di quest’anno!
Sono fotografo amatore, ho cominciato a fotografare quando avevo 10 anni – la stessa età della “scoperta” dello Spectrum – ma solo da qualche anno ho cominciato a esporre i miei scatti. Ho al mio attivo già tre mostre personali, oltre alla partecipazione a un buon numero di collettive.
Se volete avere un’idea di quello che faccio potete collegarvi al MIO SPAZIO su Flickr.
RGP: Una persona iperattiva, non c’è che dire…Di cosa ti occupi attualmente?
AG: Al momento non sto facendo gran che a parte lavorare, dal momento che per colpa dell’onda lunga dei tagli alla scuola superiore causati dalla pseudo-riforma Gelmini del 2010 ho perso il posto nella scuola dove lavoravo con mia grande soddisfazione da ben nove anni e almeno per quest’anno mi han sbattuto su due scuole diverse a più di 100 km da casa… per cui ho rimandato i progetti più impegnativi a quando (e se) rientrerò là da dove sono stato indebitamente allontanato. Può essere che mi dedicherò a qualche attività “a bassa intensità”, come la traduzione inglese della Spectrumpedia, interrotta da più di un anno, ma non mi sento di dire altro al riguardo per ora.
Inoltre, sono caporedattore dello staff del portale GamesArk, anche se per adesso mi son preso una pausa in attesa di riorganizzarmi meglio col lavoro. Ho però già in cantiere due recensioni di giochi per PC, uno attuale e un “oldie”. Se visitate il sito potete leggervi, tra l’altro, le mie recensioni di giochi per Spectrum, PC e coin-op, nonché speciali sul VIGAMUS, sul Computing History Museum di Cambridge (GB) e così via.
RGP: Un parere in merito alla nascita dei numerosi Musei/Blog/siti dedicati al retrogaming in Italia?
AG: Occidit qui non servat, “Chi non conserva, uccide”, dicevano gli antichi Romani (nonché l’etichetta di un noto amaro che a me piace assai); e questo detto mi sembra particolarmente adeguato a illustrare il senso dell’agire degli appassionati di retrogaming e retrocomputing.
In un mondo dove le tecnologie vanno più veloci della capacità degli esseri umani di assimilarle e di dare ad esse un significato, retrogaming e retrocomputing ci dicono da dove veniamo e cosa c’era prima. Forse anche per via della mia formazione e del lavoro che faccio, ritengo essenziale che specialmente i più giovani sappiano cosa fa funzionare i cellulari o i PC che usano ogni giorno e da dove le console con le quali si divertono abbiano avuto origine.
Questo potrebbe, come è stato per una certa parte della mia generazione, incoraggiare un uso più consapevole delle nuove tecnologie. Altrimenti rischiamo di creare una massa di scimmiette ammaestrate, sempre sedute col capo chino a fissare lo schermo di uno smartphone e a muoverci le dita sopra, del tutto ignare della reale potenza dello strumento che hanno tra le mani.
Oltretutto, se non coinvolgiamo le generazioni più giovani alla scoperta della storia della tecnologia, corriamo anche un altro rischio, e cioè che retrocomputing e retrogaming rimangano, come tante altre facce del cosiddetto vintage, un banale passatempo per 40-50enni nostalgici, o nel migliore dei casi una sorta di modernariato. Entrambi destinati a scomparire quando noi non ci saremo più.
RGP: Anche tu, come il sottoscritto ed altri colleghi retrogamer, sei un collezionista di hardware e/o software d’epoca? Se si, a quale pezzo della tua collezione sei più affezionato?
AG: Rispetto a quella di molte persone di mia conoscenza, la mia collezione è ben poca cosa in termini di quantità, ma per me ha ovviamente un valore straordinario. Possiedo almeno un esemplare funzionante di tutti i modelli canonici di Spectrum prodotti, compreso il raro Sinclair/Investronica di fabbricazione spagnola del 1985, completo di tastierino numerico. Oltre a ciò, cassette, libri, riviste, joystick vari… tutto in condizioni di servizio.
Come ho detto prima, della collezione fan parte pure un Commodore 64 – con Datassette, drive floppy 1541 e stampante ad aghi Commodore – e un Dreamcast giapponese.
In quanto al “pezzo” cui sono più affezionato… beh, prevedibilmente si tratta di uno ZX Spectrum primo modello Serie 3. Però non è quello che uso di più. La mia “cavia” è un 128 +2A, sul quale provo i miei programmi e ho condotto esperimenti di caricamento da lettore multimediale e PC via adattatore per autoradio, senza tenere schiacciato il tasto Play del Datacorder.
Perché un +2A? Perché a causa dei noti problemi di incompatibilità dovuti alla revisione di ROM e circuiteria video, se un programma gira su di esso, puoi star sicuro che gira su tutti gli altri tipi di Spectrum!
RGP: Concordo in pieno! Per concludere: come sarebbe stata la tua vita (sul piano professionale/informatico) se non avessi avuto da bambino quel famoso “incontro ravvicinato” con lo ZX Spectrum?
AG: Sicuramente diversa, e – ne sono certo – non in meglio.
RGP: Per chiudere (si fa per dire) il discorso Spectrum, mi dici tre aggettivi per che, secondo te, rendono giustizia alla macchina di Sir Clive?
AG: Semplicità, compattezza, versatilità. Semplicità nell’utilizzo e nella possibilità di programmazione; compattezza nella progettazione e realizzazione di un hardware ridotto all’osso, eppure funzionale; versatilità di un computer che poteva veramente essere usato, nei suoi limiti oggettivi, per introdurre l’uomo della strada alle nuove tecnologie informatiche senza intimidirlo… anche se fin troppo spesso si finiva per giocarci a Manic Miner o ad Atic Atac!
RGP: Ringrazio infinitamente Alessandro Grussu per il tempo dedicatomi e soprattutto per aver reso disponibile a tutti noi appassionati quell’opera eccezionale che risponde al nome di SPECTRUMPEDIA!
Acquistate o almeno scaricatene una copia dal sito di Alessandro, se volete ritenervi retrogamer degni di tale nome!
AG: Grazie mille, ancora, a voi tutti!