FILM – GROSSO GUAIO A CHINATOWN (1986)

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Alcuni film, se si è vissuto in un dato periodo storico, non hanno bisogno di presentazioni. Per tutti coloro che hanno vissuto anni 80-90, certe pellicole sono passaggi obbligati per l’infanzia e l’adolescenza: si guardavano perché li passavano in TV ma anche perché girava la VHS (consumata) tra amici, oppure semplicemente perché entravano nell’immaginario collettivo dell’epoca (per farvi capire: nel 1991 ero in quinta elementare eppure tra di noi scolari una serie come Twin Peaks era arcinota).
Possiamo citare Labirynth, Goonies, Navigator, Robocop o Gremlins… Punti fermi per chiunque abbia vissuto una certa epoca, filmoni, considerando lo stato attuale del cinema mondiale (Blockbusters che non osano e non scommettono, franchises sempre a colpo sicuro, cinema indipendente praticamente inerte). Molti di questi, come GROSSO GUAIO A CHINATOWN, sono divenuti leggendari dopo l’uscita al botteghino, anche dopo un sonoro flop d’incassi, tra l’altro.

La splendida cover del film

Lo status di Cult Movie l’ha acquisito col tempo dopo la messa in Vhs ed i passaggi TV che gli hanno garantito, dopo la batosta al cinematografo, una gloria postuma crescente. Come Blade Runner, alla sua uscita il film fu mal recepito dal pubblico e dalla critica; per la sua natura controversa e decisamente antitetica per i canoni soliti del cinema mainstream, costò al regista John Carpenter il bando dalle majors per parecchio tempo. Oltre a questo, metteteci pure la lenta rivalutazione che ha avuto il cinema di Carpenter, che fino a non molto tempo fa era considerato solo un regista di genere ed i suoi film blandi prodotti di consumo, ignorando i contenuti non proprio da cinema bis al loro interno (Essi Vivono su tutti).
Detto ciò, meglio focalizzare il film partendo dalla sinossi, anche se nota ai più: con un prologo che fa da presagio ad una trama forse non proprio ordinaria, la vicenda ha per protagonista un camionista un po’ sbruffone, un po’ frescone: tale Jack Burton, interpretato da Kurt Russell (al suo quarto atto con la filmografia carpenteriana, dopo un biopic su Elvis Presley chiamato appunto Elvis, seguito da 1997: Fuga da New York e La Cosa) ed il suo amico ristoratore Wang Chi (un Victor Wong poi protagonista del successivo film di Carpenter, il decisamente più cupo Il Signore Del Male) che devono andare a prendere la futura sposa di quest’ultimo, Miao Yin, all’aereoporto di San Francisco, in arrivo dalla Cina.
Qui la ragazza viene rapita dai Signori Della Morte, una pericolosissima banda di Chinatown al servizio del villain principale. Parte l’inseguimento per i vicoli del quartiere cinese, dove i due subito s’imbattono in un funerale dei Chang Sing, fazione del noto quartiere, che viene però interrotto immediatamente da un attentato da parte della fazione rivale, i Wing Kong, sfociando il tutto in un “combattimento cinese” (comprensivo di tutto il meglio delle arti marziali conosciute, nonché di un siparietto in chiave western) a sua volta interrotto dall’arrivo delle Tre Bufere (Tuono, Pioggia, Fulmine), entità dotate di superpoteri che chiudono gli scontri con una carneficina.


 

Durante gli scontri, i due protagonisti fanno la conoscenza (investendolo) di David Lo Pan (una specie di Fu Manchu interpretato da James Hong, caratterista con un curriculum vitae impressionante, praticamente onnipresente nel cinema e nella TV americana), mandante del rapimento di Miao Yin, che rivela sin subito i suoi poteri restando illeso e accecando momentaneamente Jack con i suoi poteri mistici. Nel frattempo si aggiungono al duo anche l’avvocato Gracie Law presente al rapimento (interpretato da una Kim Cattrall pre-Sex And the City), la giornalista Margo e l’amico Eddie, nel tentativo di liberare la ragazza, imprigionata nella casa d’appuntamenti “La Tigre Bianca”, ricorrendo ad un Jack camuffato da finto cliente. Le Tre Bufere però piombano lì, devastando tutto e portando via la ragazza.
Si passa poi ad un ulteriore tentativo di scovare Miao Yin, questa volta nei domini di Lo Pan: con un sotterfugio (blandissimo), Jack e Wang entrano nei magazzini, dove però cadono in una trappola tramite un finto ascensore. Qui hanno un faccia a faccia con un Lo Pan vecchio e storpio (rivelando quindi una doppia natura di fantasma/vecchio decrepito) che conferma di tenere prigioniera Miao Yin, con l’intenzione di sposarla, in quanto ha gli occhi verdi, caratteristica rara e ambita per la cultura cinese (Green Dragon Eyes, come vengono definiti in lingua originale). Questo “unione” fra Lo Pan e Miao Yin dovrebbe far svanire una maledizione vecchia di 2500 anni, inflittagli dal primo imperatore cinese, che costringe Lo Pan a vivere nel corpo di un vecchio derelitto.


 

Nonostante tutto, Jack e Wang fuggono dalla loro cella e partono alla ricerca dei loro amici che nel contempo si sono fatti imprigionare. Ne consegue un’evasione generale, tra il team principale ed un gruppo di signorine prigioniere usate per la tratta delle bianche. Durante la fuga Gracie viene rapita da una specie di ominide mostruoso che la porta nelle segrete di Lo Pan dove, accertato di possedere anche lei gli occhi di smeraldo, verrà selezionata come sposa papabile. Da qui il terzo ed ultimo tentativo di salvataggio (o diremmo terzo atto, visto che il film doveva nascere addirittura come un musical) con i nostri due protagonisti forti ora dell’aiuto di Egg Shen (il protagonista del prologo nel quale dichiara, ovviamente, di credere all’esistenza della Magia Nera cinese), guida turistica e stregone in attesa da sempre del momento giusto per sconfiggere una volta per tutte lo Spirito Malvagio di Lo Pan.
Col suo piccolo commando formato da alcuni Wing Kong, i nostri eroi si fanno strada verso Lo Pan attraverso le viscere di Chinatown, in un vero e proprio dungeon paludoso, con mostri in agguato. Il loro arrivo coinciderà con i preparativi del matrimonio di Lo Pan che, a quanto pare, decide di sposare entrambe le prigioniere (Gracie Law e Miao Yin) dopo una pittoresca e surreale prova del fuoco.
I nostri piombano al culmine della cerimonia dove il villain, sposandole, rompe l’incantesimo che lo imprigionava diventando di carne e quindi materiale. Ne consegue uno scontro tra forze opposte in cui Jack non riesce a sparare nemmeno una pallottola (nei precedenti scontri l’ha fatto poco e male) rimanendo accidentalmente tramortito, mentre i Chang Sing e i Wing Kong si duellano all’ultimo sangue e Wang si scontra direttamente con Pioggia, in un conflitto in stile prettamente wuxiapian (colpi di spada a mezz’aria, se non avete mai visto film come Storie di Fantasmi Cinesi o La Tigre e il Dragone) avendo la meglio. Egg Shen invece, in una scena da antologia, sfida Lo Pan in uno scontro magico tra due campi d’energia, rappresentata da due antichi guerrieri.


 

Si arriva quindi allo scontro finale, dove Jack Burton (complice una pozione rinvigorente di Egg Shen), ormai completamente strafottente del pericolo (e sporco di rossetto di una Gracie truccatissima per la cerimonia) attacca con il coltello Lo Pan mentre Tuono si occupa di Wang. Il colpo fallisce, Lo Pan rilancia pensando di colpire Jack mentre viene, invece, colpito a sua volta in piena fronte dallo stesso coltello afferrato rilanciato al volo da quest’ultimo (“Questione di riflessi”, dice Jack, che è pure il leit motiv del film).
La morte di Lo Pan provoca l’immediato terremoto del suo regno sotterraneo, mentre Tuono, disonorato per la morte del suo padrone si gonfia esageratamente fino a farsi esplodere. Non resta che abbandonare l’antro infernale non prima di aver evitato l’ultima bufera, Fulmine, goffamente schiacciato da una statua di Buddha.
Quindi una rocambolesca fuga dal covo (c’è pure una security che spara all’impazzata) a bordo del camion di Jack, sconquassando l’entrata del magazzino e facendosi strada fuori da quartiere. Finalone con matrimonio di Wang e Miao Yin, che risarciscono Jack delle fatiche intraprese con una cospicua somma, Egg Shen che si dà ad una lunga vacanza e Gracie Law che sogna un finale romantico con Jack che invece, a sorpresa, si congeda con un arrivederci non dopo aver pronunciato la storica frase “Abbiamo fatto tremare i pilastri del cielo!
Il nostro eroe riprende così la sua strada nelle highways mentre, sotto una pioggia scrosciante, qualcosa di sinistro spunta da dietro la cabina del suo camion…

Cosa sarà mai…

Se bisogna dare un valore iniziale a questo film, in primis c’è senz’altro quello di aver portato, in un’epoca avida di cinema orientale soprattutto in Italia, il cinema cinese e tutto il suo carico allegorico ed estetico (al massimo abbiamo avuto i film di Bruce Lee e le serie Samurai e Kung Fu con David Corradine, più qualche film di arti marziali tradotti alla meno peggio e trasmessi nelle tv locali) al mondo occidentale. Un omaggio ad una cultura cinematografica lontana che ha, però, con il tempo catturato l’interesse mondiale, con la critica dei festival di cinema internazionale prima e del pubblico dopo, e che Carpenter (complice anche la visione del film Zu warriors from the magic mountain) era riuscito già, in anticipo di quasi un ventennio, a mischiare in un crossover vincente, i linguaggi delle due culture ben conciliate dai caratteri dei due protagonisti: un Jack impulsivo e cafone ma con ideali di libertà tanto cari ad un vero americano (o repubblicano tout court), contraltare del suo amico Wang, più saggio e preparato culturalmente all’ignoto che andranno ad affrontare (ben espletato nei dialoghi, come quello durante la prigionia).

Ecco a voi…Lo Pan

La forza del film, come avrete evinto dalla trama rocambolesca, è sul piano sia narrativo che stilistico, un misto di generi: tra l’action degli innumerevoli combattimenti, la parte quasi horror delle apparizioni spettrali di Lo Pan, il cappa e spada wuxiapian tipico d’oriente, elementi western come il pistolero cinese durante il funerale a Chinatown (non a caso il film in una prima versione doveva essere ambientato nel far west del 1880, in cui Jack perdeva il cavallo anziché il camion), la commedia slapstick e l’ampio battutario (Jack: “Ah, non può essere vero, io chiamo la polizia”, Wang: “Hanno di meglio da fare che finire sbudellati!”).
Forte inoltre di un budget di 25 milioni di dollari, la pellicola vanta l’efficace effettistica della Creature Shop (casa di produzione di effetti speciali del leggendario creatore del Muppet Show, Jim Henson) e della Boss Films, che hanno reso i mostri presenti nell’universo cinese del film decisamente visionari ed ispirati, su tutti la polpetta-guardiano fluttuante dai mille occhi.

Il guardiano-polpetta…alquanto disgustoso

Altra analisi è quella dell’eroe, che qui prende solo botte e viene quasi sempre “perculato” (Jack: “Che cosa c’è scritto?”, Wang: “Siu za mi ho: state alla larga, inferno dell’olio bollente”, Jack: “Scherzi?!” Wang: “Sì, dice vietato l’ingresso, ihihih!”). Il Jack Burton di Kurt Russell appare come un epigone dei suoi predecessori protagonisti storici di film d’avventura di johnwayniana memoria: incapace di comprendere cosa sta accadendo, l’eroe rimedia come può tra una battuta ed una raffica di mitra, quasi sempre sparando nel mucchio dei nemici a colpo sicuro. E nel momento in cui poteva farsi valere, nel combattimento di massa finale, si mette KO con i calcinacci crollati dai suoi spari in aria. Di ben altro spessore invece il suo alter ego orientale Wang: lui i nemici li fa fuori a mani nude e in pochi secondi, ingaggia uno scontro a mezz’aria con un semidio e vince pure, si sposa una delle donne più belle (ed uniche) di tutto l’oriente, mentre Jack, al momento di tirare le somme con Gracie, la smolla in nome di chissà quale ideale di finale dell’eroe che va per la sua strada.

Il team al completo

La grandezza di Carpenter è stata quindi quella di fare un film con gli attributi, con il suo rigore della composizione scenica propria del cinema classico americano, bilanciato con l’estro dell’azione del cinema di Hong-Kong, apparendo, ad una visione superficiale, puro cinema d’evasione, almeno per il pubblico bovino che disertò le sale, complice anche la Fox che era tutta presa dal pubblicizzare Aliens, coevo di qualche mese lì a venire e de Il Bambino d’oro, pure quello prossimo nelle sale e molto simile nell’estetica dell’avventura orientale. Non di meno la mania patriottica dell’era Reagan di quegli anni, con pellicole come Top Gun e Rambo 2 a riempire le sale.
Il film si riscattò quasi completamente con la vendita degli home video e dei passaggi televisivi (che mi ricordi, e parliamo del 1990, chiunque a scuola all’epoca della prima visione in tv nostrana l’aveva visto).

Un film quasi impossibile da concepire e realizzare oggi… Forse solo in oriente, il luogo da dove si ispirano i fatti, sarebbero capaci di dare luce ad un prodotto del genere, mentre qui in occidente annaspiamo nel deja-vu.
 

La soundtrack, per mano dello stesso Carpenter, non ha hit estrapolabili per le classifiche…Anzi no! Guardate qui:


 

Video didascalico al film a parte (forse il Carpenter più ammiccante di sempre, nella forma-canzone dei suoi Coup De Villes, band con cui ha un disco all’attivo), la colonna sonora si snoda lungo tutti i novanta minuti del film, sonorizzando tutti i passaggi possibili, dal Prologue dall’atmosfera ectoplasmatica, alla musica dei titoli di testa (Pork Chop Express, un hard-blues con elementi synth), passando da momenti tesi del rapimento (Abduction At Airport), alle battaglie per i vicoli di Chinatown (The Alley/The Storms), per poi passare a quelli solenni ed enfatici che dipingono Lo Pan ed il suo essere spiriticamente maligno (Lo Pan’s Domain/Looking for a Girl). Fino alle cavalcate finali (The Great Arced/The Final Escape), in un crescendo di ritmo.
Ovviamente, se conoscete minimamente il cinema carpenteriano saprete che le sue autarchiche soundtracks sono a base di synths e drum machines, in un linguaggio a volte minimale che ha fatto comunque scuola per tutti gli anni ’80. Ciò non comporta, però, una banalizzazione dei temi con suoni erroneamente considerati datati (sono passati trent’anni, dopotutto), né un limite sulla carica effettiva delle dinamiche sonore. Con l’ausilio del compositore ed esperto di Sound FX Alan Howart (presente in molte altre pellicole del regista, vedi Halloween III), la soundtrack è una delle più ambiziose della cinematografia di Carpenter, nonché la prima ad essere prodotta con l’ausilio di un Apple e dei suoni Midi, che, come ha spiegato il regista, hanno comportato un lavoro stratificato in layers, costruendo la musica in varie fasi, partendo dal ritmo o dal giro di note principale.

Musicisti all’opera

Nonostante il tema del film dovrebbe rendere, almeno sulla carta, decisamente caratterizzanti alcuni suoni, l’autore si è voluto tenere lontano da certi cliché orientali, riducendo al minimo gli elementi troppo fuorvianti, introducendo invece strumenti e suoni originari, in una commistione tra strumenti originali ed acustici. Ascoltate Hide! ed Into The Spirit Path per avere un esempio di enfasi sonora ricavata da suoni sintetici.
Nemmeno sulla parte musicale possiamo dire che il buon John si sia risparmiato. Per i collezionisti è uscita un anno fa, in occasione del trentennale, una versione completa (limitata a tremila copie) ed arricchita su CD della La La Land Records.
 

Passiamo, però, all’unico tasto dolente del franchise. Effettivamente, come Tron e Blade Runner, Grosso Guaio a Chinatown non ha creato chissà quale impero commerciale ma si è comunque ritagliato una sorta di micro mercato, passato da timide Action Figures a delle Limited Edition di più recente fattura dal prezzo proibitivo.
Il videogame è l’unico elemento su cui Carpenter non poteva mettere mano ed è stato infatti quello più debole ed indecoroso.


 

Come sapete, mi occupo prevalentemente di home computer 8bit, Commodore 64 su tutti e, se nelle mie precedenti retroreviews la costante era che almeno una versione della sacra triade C64, ZX Spectrum e CPC Amstrad fosse quasi sempre ottima rispetto le altre o semplicemente una o più versioni potessero essere accettabili, in questo caso è esemplare lo scempio che è stato fatto su tutti i formati, tra l’altro gli unici tre sui sistemi poc’anzi citati, quindi niente su 16bit (per fortuna).
Sviluppato dalla Electric Dreams, il gioco si presenta come un beat’em up a scorrimento dall’insolita direzione verso sinistra (avranno seguito il modello di lettura dei fumetti manga?) in cui impersoniamo Jack, Wang ed Egg Sheng. Quest’ultimo pare si sposti inspiegabilmente su una specie di tavola hoverboard, modello Ritorno al Futuro II. La grafica si presenta blocchettosa, poco dettagliata ed i nemici arrivano uno alla volta, visto che viaggiate già in gruppo di tre (e 64k di memoria se mal sfruttati muovono poca roba su schermo). Infatti al momento dell’attacco gli altri due personaggi che non partecipano al combattimento si ritirano dallo schermo.
Potrete decidere chi dei tre far lottare, con un irritante sistema di scelta ma ciò che finora rende ardua una partita degna di questo nome è l’assoluta imprecisione delle collisioni e degli attacchi dei nemici, davvero una delle peggiori mai viste (mi viene in mente solo Wild Streets, a questo livello). A tutto ciò aggiungiamo uno scrolling ridicolo e la totale casualità del gameplaying ne fanno uno dei tie-in peggiori della storia senza considerare che, sia che perdiate la partita o arriviate fino alla fine, vi aspetta in ogni caso un tombale Game Over, senza troppe cerimonie.
Vanno segnalati: la quasi assoluta mancanza di musiche ed effetti sonori limitatissimi durante il gioco ed un cambio di stage consistente nella variazione dei colori sullo sfondo, senza nessun aumento della difficoltà o del fattore ambientale nel gameplay. Giustamente “premiato” dal Zzap! nostrano con un bel 23% di voto finale, lo stesso più o meno di Lemon64 con tanto di sterco fumante. Nessuna delle tre versioni è salvabile dallo sfacelo, altro che il “critical reception was mixed” di Wikipedia.
L’occasione per tirare fuori un interessante tie-in sprecata da uno scellerato sviluppo, molto probabilmente dettato dalla fretta di licenziarlo il più vicino possibile alla data d’uscita del film.

Di recente, che ci crediate o no, un fan ha fatto un modding del film sulla base di Dragon Ninja per NES proprio un anno fa, a commemorare i 30 anni dall’uscita del film.


 

Per le edizioni home del film, la Special Edition del 2002 targata Fox, è ormai datata per qualità e compressione video (e sofferente di una grafica scialba tipica dei primi anni Duemila), ma ricca sul versante extra del secondo DVD, mentre nel 2005 esce la versione della Koch Media, migliorata nella definizione video ma povera di extra. Per quanto riguarda il Blu-Ray, circola solo la versione tedesca ottima dal punto di vista tecnico e di extra, con audio in italiano 5.1.
La versione più recente rimane quella di quattro anni fa per la Arrow Video ma solo per il mercato oltreoceano.

Ulteriori elementi che dimostrano come il film sia ormai nell’immaginario comune, è l’uscita nel 2014 di una serie di tre albi a fumetti che riprendono la storia dove finiva il film, i pupazzi in stile deformed da parte della Funko nel 2015, un card game basato su 400 carte per 5 giocatori a tema del film uscito nel 2016 ed un gioco da tavolo per 4 giocatori annunciato per il 2017.

Il primo numero del fumetto dedicato al film

Il gioco da tavolo ufficiale di Grosso Guaio a Chinatown


 

Insomma, se consideriamo pure le varie citazioni del film negli anni attraverso i media (Raiden di Mortal Kombat è un chiaro omaggio/plagio a Fulmine delle Tre Bufere) e, inoltre, le periodiche convention dedicate alla pellicola dai fans, possiamo dire che il film è ormai entrato di diritto nella cultura pop. Tanto che dal 2015 si parla di un remake con protagonista The Rock” Johnson, in cui pare debba esser coinvolto anche Carpenter.
Progetto che, visto il recente andazzo di remake e reboots (come il tremendo Conan del 2011) tirati su con ispirazione e passione pressoché assente, speriamo non passi mai dalla carta alla realizzazione.
Amen.

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Autore: Francesco Romano

Classe 1980, riceve il suo primo Vic20 a 5 anni e solo nel 1990 passa al Commodore 64, con il quale fissa in maniera indelebile il suo sodalizio con il divertimento in pixel. Si mantiene costantemente informato sul mondo a 16bit, nonostante decida di passare direttamente al pc solo nel ’96! Un tardivo digitale, decisamente…

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